La 'Buropazzia' italiana


L'azione politica giudicata inefficace è una diretta conseguenza del deficit organizzativo dell'amministrazione pubblica, ancorata a principi e prassi che sarebbero ritenute incompatibili con qualunque genere d'impresa proiettata alla competizione sui mercati. In queste, ogni incarico comprende una precisa responsabilità di gestione. E questa, a sua volta, risponde alle regole dell'efficacia nel rapporto tra tempo e qualità della prestazione. Sono i consumatori a giudicare. Mentre nell'amministrazione pubblica, a mancare è non solo il controllo e la sanzione, ma anche la reazione interna finalizzata all'efficacia. E quella esterna dei cittadini. Che non possono rivolgersi ad un "altro" Stato.

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Si tratta di un tema annoso, ormai approdato alla condizione inaccettabile del parossismo: il sistema burocratico italiano sembra possedere i caratteri di quello sovietico ormai scomparso con la caduta del regime comunista di Mosca. E, per tratti, appare la rappresentazione reale del grottesco e cervellotico apparato giudiziario immaginato da Franz Kafka nel suo celeberrimo "Il Processo". 
Quale altro accostamento si potrebbe infliggere al nostro modello burocratico, per definirlo?
meglio astenersi e limitarsi a declinarla nell'unione di due sostantivi in una sola parola: "buropazzia".

Come nasce la buropazzia italiana

La nostra è una nazione piuttosto giovane ed afflitta da ataviche condizioni di squilibrio storico e territoriale, caratterizzata da modelli normativi molto diversi tra loro e forzatamente unificati nell'unico paradigma possibile al tempo dell'unificazione: quello di marca sabauda. 
Che sarebbe stato, tutto sommato e in virtù del fatto di essere emanazione di una monarchia avanzata, un buon sistema di gestione della macchina pubblica. 
Ma la necessità di applicazione a popolazioni e culture molto distanti, ha finito col renderlo, nel corso dell'Ottocento, uno strumento inadeguato per un Paese che necessitava di ricevere un impulso allo sviluppo sapientemente ritagliato sulle peculiarità dei territori.
In questo scenario, l'avvento del regime fascista, per molti versi imbevuto dell'esperienza di formule politiche "crispine" e "giolittiane", si preoccupò di esasperare la natura centralista dello Stato e d'infittire la struttura burocratica di ruoli congeniali ad uno strenuo irrigidimento del "controllo" come funzione imprescindibile, a scapito di una visione liberale rimasta, tuttavia, alla condizione di principio mai veramente applicato. 
Con queste premesse, la repubblica nata nel 1946 ha ereditato un apparato pesante, elefantiaco, sovrabbondante, che non è mai stato oggetto di una riforma organica: dopotutto, perché i partiti del secondo dopoguerra avrebbero dovuto privarsi di uno strumento di potere?

Stratificazione normativa, clientele e peso sindacale

Il resto è storia nota che giunge fino a noi. 
La sovrabbondante produzione normativa, peraltro figlia di una cultura del linguaggio burocratico - il linguaggio è un modello di pensiero - ha reso una foresta fittissima e faticosa da sormontare la nostra legislazione, facendo discendere da questa procedure d'adozione sempre più contorte, incoerenti, caotiche, inducendo la macchina burocratica ad inventare strumenti di controllo del processo decisionale finale tali da comprimerne l'efficacia, dilatandone nel tempo l'applicabilità: tutto diventa complesso, tutto diventa lentissimo.
Poi, è anche vero che le regole clientelari del consenso partitocratico, nel corso della "prima repubblica", hanno gonfiato a dismisura gli organici, condizione critica di qualunque modello organizzativo, strutturando, per di più, l'immissione di quadri dirigenti per i quali la competenza ritenuta generalmente ammissibile è stata quella legale. 
Così, non è cresciuta nel tempo una classe burocratica differenziata per ruoli applicativi e per conoscenza delle tecniche dell'organizzazione, ma un'orda di funzionari dediti sostanzialmente ai soli processi di controllo e mai ai processi di implementazione agevole della norma. La cultura dello stato centralista si è dunque radicata, tanto che la stessa nascita delle Regioni, nel 1970, non è stata che un trasferimento di deleghe modellate su una vecchia cultura burocratica moltiplicata per il numero delle regioni. 
Si tratta di nuovi "centralismi". 
Che peraltro si frappongono al governo centrale rendendo, se possibile, più caotica la funzione pubblica.
Chi volesse riformare, poi, si trova di fronte al muro di gomma dei sindacati, forti di un potere costituito dalla congerie di norme favorevoli al lavoro e mai pensate per erogare servizi dignitosi per i cittadini. D'altra parte, i sindacati fanno il loro e non li si può giudicare più di tanto: è mancata una controparte degna di questo nome, sia a livello parlamentare che governativo.
Quest'insieme di elementi ha condotto al disastro.

Il ruolo della magistratura

Occorre sommare un ulteriore elemento, venuto in luce soprattutto nell'ultimo ventennio: il timore di incorrere nelle maglie stringenti della magistratura. 
Provo a spiegarne le ragioni.
La complessità normativa si è rivelata, per contrappasso, un'arma a doppio taglio: da una parte agevola l'arbitrio della buropazzia; dall'altra, rende l'azione applicativa una palude nella quale il rischio di cadere nelle sabbie mobili è molto elevato. Anche un lieve inadempimento, spesso determinato da una stratificazione di norme, mal scritte, che lasciano in piedi istituti giuridici desueti o incoerenti, comporta, specie per chi è ancora ligio al dovere, responsabilità automatiche i cui effetti perversi consistono nell'attivazione di un procedimento giudiziario.
Così, una macchina già farraginosa, lenta e cervellotica, diviene ancora più nevrotica inasprendo procedure già inaccettabili. Con buona pace dei "furbi" e della magistratura la quale, vincolata anch'essa ad un modello organizzativo e normativo che avrebbe fatto invidia al buon Kafka, non può che assumere la sua parte in questo caos inestricabile. 
Certo, la magistratura e il suo funzionamento sono parte rilevante del sistema "buropazzo" italiano: un contributo del quale si sarebbe volentieri fatto a meno e che invece ha un effetto di moltiplicazione esponenziale del disagio in capo ai cittadini.

Il senso del servizio

Banalmente, questa situazione così confusa, è anche la matrice di un effetto indiretto, radicato quanto i mali d'origine: l'assoluta mancanza di una cultura del servizio.
La funzione pubblica, ad ogni livello, è intesa come un potere fine a se stesso e non come un "poter fare", un'azione che distenda la sua capacità applicativa raggiungendo lo scopo effettivamente dettato dalle norme. 
Vero è che le norme, l'ho già chiarito, sono scritte talmente male e sono talmente mal concepite che il discernimento volto a rintracciarne la ratio rischia di essere un esercizio vano. 
Tuttavia, non si fa nulla per tentare di impostare un procedimento amministrativo entro un modello razionale. 
L'unico modo è quello di saltare le norme e di derogare: in questo modo si è potuto appaltare e ricostruire il nuovo ponte sul Polcevera a Genova. 
Lì, ci si è inorgogliti gridando al miracolo. Ma l'unico miracolo è stato quello di concedere poteri speciali al commissario incaricato. 
Ci si chiede: se è così evidente che le norme possono funzionare se superate in deroga, cosa si attende per abrogarle e reimpostare, sulla base di quest'esempio, l'intera disciplina in materia? 
Un certo garantismo ottuso fa da ostacolo. 
Ma a Genova si è compreso che occorreva imprimere alla macchina burocratica la spinta necessaria a superare l'eccesso di norme realizzando un modello di reale servizio alla comunità cittadina. 
Ci si è affidati ad un responsabile unico che potesse avere l'ultima parola e via così.

Organizzazione, questa sconosciuta...

Una lacuna molto evidente nella nostra "buropazzia" è poi la mancanza di competenza nelle tecniche organizzative, un modello mentale e culturale che nelle imprese private rappresenta il centro di ogni azione. 
Si pensi all'esempio di Amazon: una complessa cattedrale gotica del commercio mondiale attraverso la quale un qualsiasi prodotto giunge a casa nel giro di pochi giorni. 
Cosa si nasconde dietro tutto questo? 
Un modello organizzativo che viene continuamente testato ed adeguato, una sorta di work in progress finalizzato all'obiettivo di soddisfare i consumatori, che recepisce gli input determinati dal costante dialogo con gli stessi clienti, che progetta le fasi del processo per velocizzare e risolvere criticità.
Ogni scelta è finalizzata a quest'obiettivo organizzativo: il cliente. 
La finalità organizzativa non è vendere: questa è la finalità originaria, implicita. Perché se il cliente è soddisfatto continuerà a comprare. 
Realizzando, nei fatti, la finalità recondita.
In un sistema burocratico la finalità deve essere il cittadino. 
Quindi, ogni modello organizzativo deve chiedersi come produrre soddisfazione nell'utenza e non come applicare le norme per non incorrere in un drammatico effetto di responsabilità. 
Partendo dall'origine: dalle fonti normative. 
Cittadini e imprese che traggano dalla relazione con l'amministrazione pubblica soluzioni rapide e semplici, nella chiarezza e nella solidità di strutture manageriali che recepiscono l'impasse e la risolvono. 
Un volano di sviluppo formidabile: si pensi solo ai fondi europei che le regioni non riescono a spendere lasciandoli a Bruxelles.
Ora, provate ad immaginare il modello imprenditoriale di Amazon implementato nella struttura profonda della funzione pubblica italiana... 
No, meglio evitare di pensarci: troppo bello per essere vero.   

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