L'impresa impossibile di Joe Biden
Il risultato era atteso ma non scontato. Biden conquista la Casa Bianca nella scia di una situazione molto critica per gli Stati Uniti, tra emergenza pandemica e scontri sociali. Trump è il vero artefice della propria sconfitta, eppure ha dimostrato di possedere una base di consenso molto più ampia e consolidata di quanto i suoi detrattori abbiano compreso. Il problema non è Trump ma l'America che lo sostiene. Ed è con questa che il nuovo presidente dovrà fare i conti. Mentre aleggia il rischio, tutt'altro che remoto, di uno stallo giudiziale prolungato, dall'esito incerto e foriero di mutazioni imprevedibili nel quadro politico e istituzionale
Joe Biden è una bella persona. Lo si capisce dai gesti, dalle parole, dal modo col quale ha affrontare una campagna elettorale difficilissima. Non scalda i cuori, come ripetono molti osservatori, ma ha fin troppa esperienza ed una carica umana profonda per non diventare un buon presidente, forse un ottimo presidente.
Davvero, è agli antipodi di Trump, istrionico campione dell'eccesso e formidabile percettore di consenso, sempre sul palcoscenico e dotato di uno spirito di protagonismo insostenibile. No, Biden è una persona molto diversa, per storia personale e politica. "Sleepy Joe" è piaciuto agli americani proprio per essere tale, proprio per essere quello che Trump ha etichettato così, proprio per essere un uomo pacato, misurato, ragionevole. Rappresenta la voglia di normalità di una parte d'America nauseata dagli eccessi "trumpiani" e per questo riversatasi alle urne con quel vigore tipico del mondo borghese che ricorda gli anni del dopoguerra nel XX secolo: la voglia di lasciarsi dietro le spalle la follia delle parole d'ordine estreme, degli slogan taglienti, delle prese di posizione incontrollate, del cinismo a tutti i costi.
Il rovello tra economia e pandemia
La gestione Trump ha segnato una ripresa economica notevole per gli Usa. E' innegabile. Il tycoon della "Grande Mela", può rivendicare questo merito, costruito a colpi di riduzione delle imposte e di aumento dei dazi. La sua guerra commerciale ha pompato la produzione americana ed è piaciuta anche per il principio che incarna: una chiara difesa egoistica del mercato americano riservato alle imprese americane.
Un modello con il quale Biden dovrà misurarsi.
Come?
Non si può credere che l'elettorato democratico e repubblicano moderato che lo ha eletto, sia autolesionista: i benefici della cura Trump si sono fatti sentire anche da quelle parti. Ma è pur vero che assieme alla ripresa economica si è prodotta un'accentuazione degli squilibri tra i ceti, un aumento del carico di difficoltà per chi necessita di assistenza sociale e sanitaria e una maggiore percezione delle diseguaglianze. In questo solco, Biden non potrà deludere. Ma dovrà farlo senza incidere sul volano economico messo in movimento dal suo predecessore. E la maggioranza repubblicana al Senato non sarà compiacente con il nuovo presidente, su questo come su altri fattori della sua agenda politica.
Tuttavia, la variabile Covid-19 pesa e peserà ancora a lungo, imponendosi quotidianamente sulle decisioni, provocando un restringimento delle opzioni economiche a tutto vantaggio di nuove sofferenze sociali.
Inoltre, Biden dovrà considerare anche il ruolo crescente della senatrice Harris, la nuova vice presidente particolarmente sensibile ai temi sociali e razziali ma, soprattutto, schierata apertamente per una svolta radicale nel sistema sanitario: l'assistenza gratuita per tutti.
Una bella grana per il pur navigato presidente. La prima delle sfide impossibili.
Razzismo, violenza, minoranze e fanatismo religioso
Sembravano problemi confinati in una sfera minoritaria, retaggio di opzioni politiche superate dalla presidenza Obama. Eppure, l'America sembra inguaribile dai suoi mali atavici: un razzismo profondo che si unisce ad espressioni di violenza sempre più manifeste e diffuse; la difesa dei diritti delle minoranze etniche e sessuali che non trova sosta contro gli attacchi di frange ultra-reazionarie sempre più organizzate; la crescente ondata di fanatismo devozionale in un Paese che, tuttavia, sconta origini fortemente caratterizzate da una matrice religiosa di orientamento conservatore: questo è un aspetto che non bisogna dimenticare.
Così, Biden si trova a governare un'America che somiglia ad un'enorme polveriera esposta a ondate di calore. Quale potrà essere la sua linea, atteso che la figura di Trump ha aperto un varco notevole nella coscienza delle frange della destra radicale, dimostratesi capaci di tracimare oltre gli ordinari limiti e di trascinare il consenso di una gran parte dell'opinione pubblica di tendenza repubblicana?
Altra bella gatta da pelare. Siamo alla seconda delle sfide impossibili.
Gli Stati Uniti sullo scacchiere internazionale
Negli ultimi quattro anni è accaduto di tutto: dalle guerre in Medio Oriente e in Nord Africa alla sfida commerciale con la Cina, dalla questione iraniana a quella, infinita, israelo-palestinese, dai difficili rapporti nella Nato e con l'Unione europea al problema della Corea del Nord, dal rigetto degli accordi di Parigi sul clima fino alle tensioni nell'Onu. Il quadro generale del ruolo degli Stati Uniti è mutato profondamente rispetto alla situazione lasciata da Obama, nella quale Trump è intervenuto come un elefante in una cristalleria. Ma Biden non dovrà solo raccogliere i cocci: in ballo c'è un sistema di relazioni che hanno subito complessi mutamenti a prescindere dal peso dell'America e dalle scelte compiute. Per cui, adesso, ogni passo rischia di compromettere equilibri già molto precari e di non facile lettura.
Di certo c'è che l'ex vice di Barak Obama ha una lunga esperienza sul tema delle relazioni internazionali, approfondite durante la lunga militanza nella carica di senatore.
Questo potrebbe risultare un grosso vantaggio, anche in termini di immediatezza nelle decisioni.
Tuttavia, esiste il precedente: l'uso che Trump ha fatto, per fini interni, dei riflessi di politica estera, spostando quest'asse d'interesse solitamente trascurato dagli elettori americani, tendenzialmente isolazionisti. Da ora, ogni decisione sarà guardata con maggiore occhio critico.
Inoltre, se le scelte di Trump sono state discutibili, quelle dell'amministrazione Obama non hanno brillato agli occhi dell'opinione pubblica statunitense. Un'impostazione nella quale l'influenza di Biden si è fatta sentire.
Anche qui, dunque, in neo presidente dovrà scontare una navigazione tempestosa.
Il ruolo dei media
Le intemperanze di Trump, la tendenza a sproloquiare dell'ormai ex presidente, ha favorito una deriva censoria dei media, sia dei grandi network televisivi che dei social come Twitter. Intendiamoci: nel merito esistono alcune giustificazioni al comportamento dei "padroni" dell'informazione. Ma la questione è ben altra: chi decide cosa si può o si deve comunicare all'opinione pubblica in un regime liberale? Questa scelta, in capo ai gruppi che detengono le piattaforme dell'informazione, da quale visione è determinata?
Insomma, Trump ha posto una questione vera nel modo, come sempre sbagliato. Così, questa seria, problematica situazione, è scivolata via assieme al personaggio, ma non è sfuggita agli osservatori più attenti. Nei fatti, Biden è stato issato fino alla Casa Bianca anche dal sistema dei media, non tanto in forma diretta quanto come riflesso della polemica quotidiana intrapresa dal presidente repubblicano contro il pesante potere di condizionamento esercitato dalle piattaforme dell'informazione.
Purtroppo, il tema, come sempre proiettato su di sé, è risultato svilito dal parossistico egocentrismo di Trump. Ma allo stato dei fatti, mentre si ride e si balla per la vittoria, sarebbe il caso di tenerlo al centro dell'attenzione e della riflessione. Poiché, così come Biden ne ha ricevuto un evidente beneficio, allo stesso modo potrebbe ritrovarsi a subirlo.
La mutazione della democrazia Usa
Adesso si apre la fase delicata del passaggio di consegne, fino all'Inauguration Day del 20 gennaio prossimo. Mentre i ricorsi di Trump cominceranno a farsi strada, con chissà quali esiti.
Oltre due mesi di tensione che potrebbero modificare il modo stesso d'intendere le relazioni tra partiti e leader di maggioranza e di opposizione.
Qualora questo processo dovesse influire pesantemente sul modello istituzionale fin qui durato e basato su prassi consolidate, ci si troverà di fronte ad un mutamento strutturale del sistema democratico americano. Favorito sia dal ruolo che assumeranno i media, che dalla trasformazione del Grand Old Party, il partito repubblicano sferzato dall'inconsueta leadership di Trump e del suo clan familiare.
La questione può apparire sottile e marginale nell'agenda politica di Biden.
Ma se fossi in lui, non eviterei di tenerla nella massima attenzione.
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