Arte e potere
Per alcuni, una relazione inscindibile. Per altri, un’appropriazione che l’arte stessa ha saputo respingere adattandosi ed emergendo in un’affermazione di libertà. Difficile trovare un equilibrio. Ma un buon esempio può rinvenirsi in un momento di passaggio della storia antica, quello dell’età augustea e del programma iconografico che accompagnò la nascita dell’Impero in una Roma che ancora e a lungo si credette repubblicana
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Argomento difficile, tema troppo
ampio da trattare in un articolo.
Eppure, questione affascinante, che segna un
concetto d’arte che non si può lasciare ai margini.
Così, scelta come paradigma
l’età augustea, entro subito in medias res, lasciando che siano le opere
a “dire” più di quanto premesse e lunghi preamboli potrebbero indicare.
Partiamo da un monumento imprescindibile: l’Ara Pacis, il simbolo di un’epoca segnata dalla transizione verso l’impero e da un modello politico pregno di significati fondativi della nuova Roma davvero caput mundi.
Una Roma tuttavia dilaniata, fino all’avvento al potere di Ottaviano Augusto, da guerre civili cruente che minarono le fondamenta dei valori e delle istituzioni repubblicane.
Partiamo da un monumento imprescindibile: l’Ara Pacis, il simbolo di un’epoca segnata dalla transizione verso l’impero e da un modello politico pregno di significati fondativi della nuova Roma davvero caput mundi.
Una Roma tuttavia dilaniata, fino all’avvento al potere di Ottaviano Augusto, da guerre civili cruente che minarono le fondamenta dei valori e delle istituzioni repubblicane.
Una Roma
che ambiva alla pace quale espressione di un potere universale, capace quindi
di riunire sotto un’unica visione dell’autorità le moltitudini di popoli che
avrebbero dovuto transitare da oggetto di asservimento violento a parti
costitutive di un dominio riconosciuto e quindi espresso nell’affermazione di
una convivenza pacifica sotto le insegne imperiali.
In questo contesto, cos’è l’Ara Pacis?
Si tratta di un altare concepito, formalmente, dal Senato nel 13 a.C. e realizzato nel 9 a.C., collocato nel Campo Marzio (eletto in età ellenistica a luogo delle riunioni politiche e delle manovre militari poiché fuori dal Pomerium e già dotato fin da allora, nel 221 a.C., del Circo Flaminio) che, non a caso, in epoca augustea fu oggetto dell’edificazione di opere (l’orologio solare, la basilica di Nettuno, le terme, il mausoleo, la meridiana) che ne decretarono la consacrazione a luogo rappresentativo della lunga età imperiale agli esordi.
L’altare è costituito da
un basso podio circondato da un alzato perimetrale di 10 x 11 metri, fregiato
sui lati corti da un registro alto ed uno basso su ogni lato esterno ed
interno, separati da fasce decorate con motivi geometrici (meandro) e motivi
floreali di stile orientale (palmette e fiori di loto). Le raffigurazioni sono
varie: si parte dal Lupercale e si finisce con Enea che offre sacrifici agli
dei Penati di Lavinio.
Poi la sublimazione di Roma in una figura vestita come
un’amazzone e quella di Venere (o probabilmente la figura allegorica della Pax
terra marique parta, la pace in terra e in mare) nelle vesti della matrona
c.d. Saturnia Tellus.
Sui lati più lunghi, invece, il fregio propone una
processione in due versioni: quella ufficiale con i sacerdoti e un’altra con la
famiglia imperiale di Augusto.
Mentre la prima rispecchia il carattere formale
del rito, ritraendo Ottaviano nella sua funzione di Pontifex Maximus, la seconda esemplifica nella successione delle
figure l’allegoria della successione al trono e di una gerarchia familiare che
diventa simbolica del potere che assume connotati dinastici, una dimensione
aliena al regime repubblicano e che ne sancisce l’ormai realizzata decadenza
nell’identificazione del potere augusteo con lo Stato.
Dunque, il tema della pax augustea, corollario di una più complessa visione del ruolo politico e degli strumenti del consenso e dell’auctoritas, ha già trovato una sua espressione materiale, simbolica.
Ma non basta.
Dunque, il tema della pax augustea, corollario di una più complessa visione del ruolo politico e degli strumenti del consenso e dell’auctoritas, ha già trovato una sua espressione materiale, simbolica.
Ma non basta.
Si tratta adesso di
definire più organicamente e con le relative citazioni di opere che la
rappresentano, quella concezione del potere che Augusto in modo inaspettato
realizza, costituendosi come esempio ineludibile per i suoi successori e,
forse, come modello per la scienza della politica.
Da questa concezione occorre prendere avvio per interpretare il significato delle opere che ad essa s’ispirano.
Prendiamo la sua casa sul Palatino: non un palazzo, non una reggia, ma un’abitazione che non manifesta eccessi di sfarzo e punta invece alla ricercatezza raffinata degli affreschi, espressione artistica tra le più effimere del tempo, priva della monumentalità eternata dell’arte plastica e del linguaggio architettonico.
Da questa concezione occorre prendere avvio per interpretare il significato delle opere che ad essa s’ispirano.
Prendiamo la sua casa sul Palatino: non un palazzo, non una reggia, ma un’abitazione che non manifesta eccessi di sfarzo e punta invece alla ricercatezza raffinata degli affreschi, espressione artistica tra le più effimere del tempo, priva della monumentalità eternata dell’arte plastica e del linguaggio architettonico.
Eppure, è la
residenza di “Cesare”, di colui che possiede le chiavi del potere di un impero
che ha raggiunto dimensioni alessandrine.
Un impero rispetto al quale le
istituzioni repubblicane appaiono inadeguate perché incapaci di governare con
autorità le involuzioni disgreganti apparse tali con le guerre civili ed i
conflitti di classe. L’impero necessita di una guida dalla quale promani
l’autorevolezza perduta, che sia legittimata da un’autorità riconosciuta, che
sia simbolicamente visibile nelle espressioni artistiche, nelle manifestazioni
comunicative che chiamiamo arte.
Ovvero, arte che si afferma nel sacro e nella religio, nel sacro con il quale si
sancisce la separatezza dell’autorità e nella religione che “unisce” e connota
l’identità di un popolo.
Ecco, quindi, che la residenza di Augusto sul Palatino,
austera e repubblicana, è affiancata e perfino collegata (con una rampa) al
tempio di Apollo, lo stesso Apollo Citaredo che campeggia su uno degli
affreschi della residenza e che Ottaviano considera il dio di riferimento,
addirittura citandolo quale suo progenitore effettivo, in un’espressione della
concezione ibrida tra politica e mito che a noi di questo tempo può suscitare
un sorriso mentre in realtà aveva una sua potente ragione a quel tempo.
Ed il mito e la religione e la sacralità delle rappresentazioni sono lo strumento di una comunicazione molto intensa che ha evidenti finalità di propaganda e quindi di promozione e consolidamento di un potere nelle sue fasi d’esordio.
Ed il mito e la religione e la sacralità delle rappresentazioni sono lo strumento di una comunicazione molto intensa che ha evidenti finalità di propaganda e quindi di promozione e consolidamento di un potere nelle sue fasi d’esordio.
La rappresentazione sacra
e mitica ha un ruolo ineludibile: in questo solco, Apollo ed Eracle che lottano
per il tripode non sono altro che la metafora di Ottaviano-Apollo e di
Antonio-Eracle (lastra dal tempio di Apollo Palatino).
Idem Perseo che consegna
ad Atena la testa mozzata della gorgone Medusa, l’orientale incarnazione mitica
della sconfitta Cleopatra che aveva attentato ai principi sacri della retorica
tardo-repubblicana (altra lastra dal tempio di Apollo Palatino).
Ottaviano non si arroga un titolo che non ha formalmente: gli basta possederlo di fatto e poterne disporre ai fini della discendenza.
Ottaviano non si arroga un titolo che non ha formalmente: gli basta possederlo di fatto e poterne disporre ai fini della discendenza.
Dunque, un modello che di repubblicano non ha più nulla
se non le istituzioni formali cumulate in un’unica figura.
Le ragioni ideali
dell’assassinio di Cesare, la difesa dei valori repubblicani, vengono sepolte
con lui alle Idi di marzo del 44 a.C. mentre Ottaviano diviene “Augusto”
affermando un nuovo principio di autorità che è un “cesarismo” temprato dagli
avvenimenti storici e da un pragmatismo avvertito.
L’impero richiede che i ritratti plastici di Augusto circolino ed abbiano dimora in ogni dove del vastissimo scenario sul quale Roma governa.
L’impero richiede che i ritratti plastici di Augusto circolino ed abbiano dimora in ogni dove del vastissimo scenario sul quale Roma governa.
E si tratta di espressioni che richiamano alla
mente dell’astante la virtù di chi ha in mano il potere, la virtù manifestata
dalla sobrietà di una forma che ammicca al classicismo ateniese e nella quale
il movimento accennato e le fattezze misurate del volto lasciano trasparire il
dinamico equilibrio classico di un doriforo
di Policleto unita all’immota carismaticità di un Apollo Parnopios di Fidia: queste le caratteristiche della statua-ritratto
di Augusto rinvenuta nella residenza della moglie Livia, la villa a Prima
Porta.
Si tratta del c.d. Augusto con la corazza, a piedi nudi come un dio,
proteso nel gesto del silentium manu
facere di illuminante simbolismo.
In questa scia è comprensibile anche il
ritratto di Augusto con il capo cinto dalla corona civica di salvatore della
città ma anche e soprattutto la statua di Augusto velato capite che ne consacra il titolo di Pontifex Maximus in una posa sobria, ieratica, rassicurante,
compiutamente sacerdotale.
Fino a giungere alle grandi opere architettoniche
che attengono non solo le realizzazioni templari ma anche il mausoleo e l’Ara
Pacis, il Foro ed il ritratto colossale, la statua di Marte Ultore
(vendicatore) protettore dell’Urbe, i ritratti dei designati successori Caio
Cesare e Lucio Cesare e l’altare del vicus
sandaliarius nel quale Augusto è ritratto mentre presiede la cerimonia
sugli auspici per una campagna militare.
Politica, religione, sacralità, mito, tradizione, pax romana, prosperità per l’impero: tutto s’incarna in lui, in un’apoteosi neoclassica di simboli che fondano l’impero e con esso i destini di Roma.
Come è inequivocabile nella metafora del registro superiore della Gemma
Augustea conservata a Vienna.
Con Ottaviano si può affermare che nasca un’arte interamente autonoma di Roma, sia per il significato intensamente politico dell’arte e dell’architettura, che per le innovazioni in ambito prettamente tecnico: la codificazione, dalla base alla cornice (il capitello era già stato inventato, ovviamente) dell’ordine dorico, innovato anche nel capitello arricchito e florido come non mai; la codifica di uno stile templare che si richiama a un concetto di architettura “da vedere”, con una forte impronta decorativa, che si esplicita nel modello del tempio con il lato di fondo che sparisce (periptero sine postico) oppure ed anche pseudo periptero.
Potrebbero sembrare elementi di dettaglio.
Con Ottaviano si può affermare che nasca un’arte interamente autonoma di Roma, sia per il significato intensamente politico dell’arte e dell’architettura, che per le innovazioni in ambito prettamente tecnico: la codificazione, dalla base alla cornice (il capitello era già stato inventato, ovviamente) dell’ordine dorico, innovato anche nel capitello arricchito e florido come non mai; la codifica di uno stile templare che si richiama a un concetto di architettura “da vedere”, con una forte impronta decorativa, che si esplicita nel modello del tempio con il lato di fondo che sparisce (periptero sine postico) oppure ed anche pseudo periptero.
Potrebbero sembrare elementi di dettaglio.
Non è così: l’architettura si staglia, nella nuova Roma augustea,
come rappresentazione di un potere che appartiene all’Urbe, che da essa promana
e del quale Ottaviano è il custode voluto dal destino.
Nessun dettaglio è lasciato al caso.
Nessun dettaglio è lasciato al caso.
Questo è il dato più rivoluzionario: la rivoluzione pacifica di Augusto
che cambia profondamente Roma.
Insomma, Ottaviano è ciò che non riuscì a Cesare
e che nel nome di Cesare egli fu in grado di realizzare sublimando se stesso in
opere architettoniche ed artistiche di intenso valore comunicativo, opere che hanno
segnato indelebilmente la necessaria, programmata, plasmata iconografia di
un’epoca marchiata da un potere nascente che, tuttavia, era già possente.
Se s’intende l’arte e l’architettura come un “unicum” che risponde solo alla soggettività e volontà degli artisti, ebbene, si finge di non vedere la commistione indispensabile dei committenti e la loro attenzione all’impatto comunicativo delle rappresentazioni, figurative o monumentali che siano.
Se s’intende l’arte e l’architettura come un “unicum” che risponde solo alla soggettività e volontà degli artisti, ebbene, si finge di non vedere la commistione indispensabile dei committenti e la loro attenzione all’impatto comunicativo delle rappresentazioni, figurative o monumentali che siano.
L’arte è anche storia: la
incarna, la vive, la rende in espressioni le più varie e complesse.
Non la si
può astrarre dalla storia, dal tempo che l’ha generata, dall’umanità che ebbe
la possibilità di comprenderne i significati.
Così, il rapporto tra arte e potere potrebbe essere ribaltato in “potere dell’arte”.
D’altra parte, si può definire arte minore quella celebrativa, che promana dalla committenza politica mentre sarebbe arte sublime quella presuntivamente libera da ogni vincolo?
Così, il rapporto tra arte e potere potrebbe essere ribaltato in “potere dell’arte”.
D’altra parte, si può definire arte minore quella celebrativa, che promana dalla committenza politica mentre sarebbe arte sublime quella presuntivamente libera da ogni vincolo?
In realtà,
esiste sempre un vincolo.
E il rapporto tra l’arte e la committenza è il “tema”
dell’arte, poiché senza la seconda, difficilmente la prima avrebbe trovato
forme espressive rilevanti, monumentali, grandiose.
Ottaviano non fu il primo,
questo è ben chiaro.
Ma nel suo modello di relazione, si comprende appieno
quanto sia sempre stata pregna la qualità dell’interazione tra promotori e
artisti e fino a quale livello questo rapporto possa giungere, segnando le
epoche, mostrando tangibili segni del tempo, del gusto, dell’evoluzione dei
linguaggi.
Non può esserci diatriba: è la realtà della storia.
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