La lunga passeggiata

I luoghi del mare annunciano destini: in chi li ama, si radica il sentimento dell'orizzonte. E della terra di sabbia e di sassi abbracciata alle onde di risacca. E a quelle violente della tempesta che si placa innalzandosi e abbattendo la barriera immaginaria della riva. Sullo Jonio, il sole sorge dal mare: è un invito. Laggiù, verso l'origine, la brezza del primo mattino accompagna gli attimi dello sguardo impossibile rivolto al sole: è un richiamo. Così, l'essere umano del Mar Jonio porta con sé le voci di una natura pronta ad accogliere. Ma chiede una decisione: "intra-prehèndere" significa "de-cidere", togliere, tagliare, scegliere tra due o più cose. Ogni scelta impone un atto di coraggio: avventurarsi. Questa è l'inconsueta, solitaria genesi della mia passione verso l'impresa economica, vissuta intensamente negli anni della giovinezza. Ma su un aggettivo mi sono sbagliato: nulla di "solitario". È accaduto dopo aver ascoltato una storia. Angela Mantella, drammaturga e poetessa, mi ha narrato di suo padre, Antonio Mantella, imprenditore, "esempio" di audaci intuizioni, nato a Stalettì, sulla costa jonica catanzarese: in lui si è rivelata la limpidezza insita nella capacità di decisione. Come dell'inizio di un viaggio, all'alba, verso un sole rivelato.

Non si può affermare che l'iniziativa commerciale, quella manufatturiera e industriale, abbiano le loro radici in Occidente: sono il connotato di ogni società umana. 
Eppure, l'impresa come tale ha il suo paradigma proprio in quella che vista da Oriente era la "terra del tramonto".
Paradossi.
Antinomie.
Sono il sale dell'esistenza.
Là, dove non sembra possibile attenderlo, accade invece qualcosa: la natura imprevedibile dell'uomo, la sua creatività, la visione della realtà trasformata da mani sapienti, da entusiasmo e volontà, fondano il brulicante microcosmo di nuovi soggetti economici, di traffici, di fabbriche, di città.
Basti riflettere sulla storia grandiosa del Mediterraneo nella lunga antichità, pensare alla penisola italiana dei "comuni" percorsa dalla sete del progresso dopo il fatidico anno Mille fino alla "svolta atlantica" di Colombo
E ancora, al "miracolo" olandese nel '600 e poi all'egemonia inglese prolungatasi fino alla metà del '900.
Si tratta di storie collettive che possiedono, tuttavia, la fluida passione di individui determinati le cui gesta, piccole o grandi che siano state, hanno impresso un carico di memoria, un esempio sul quale s'è innestata una direzione di marcia, possibilità divenuta condiviso patrimonio di idee.
La storia dell'Europa e degli Stati Uniti è contenuta nel segno ambivalente lasciato dai "self made man" nella congerie di società altamente ricettive, protagoniste dell'impetuoso sviluppo nell'era moderna e contemporanea.
Sosteneva Gianni Agnelli, in uno dei suoi celebri motti:  
«I patrimoni si ottengono solo per speculazione, accumulazione o successione».
Aveva ragione. 
E non vi può essere dubbio che il primo dei modi indicati sia quello più autenticamente romantico.
Nel verso dell'appassionata autenticità dei sentimenti, del gramsciano "ottimismo della volontà" contrapposto al "pessimismo della ragione": qui corro il rischio di essere pedante aggiungendo che la frase "Dobbiamo essere guidati dal pessimismo della ragione e dall'ottimismo della volontà'' sia invece attribuibile a Immanuel Kant, ma la questione mi riporta comunque a Gramsci, alla "filosofia della prassi" e quindi a Karl Marx che nelle celebri "Tesi su Feuerbach" del 1843 scriveva:
«I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, ma si tratta di trasformarlo.»
Può apparire singolare citare Marx per parlare dei caratteri dell'intrapresa economica: al contrario, il filosofo di Treviri è stato tra i più acuti - assieme a Max Weber - nell'analisi dello spirito del capitalismo. 
In questa che ho appena riproposto, l'undicesima delle tesi, Marx mette in questione la realtà vissuta come un "oggetto" che s'imporrebbe sull'individuo. 
Egli rifiuta un materialismo storico che neghi la prassi dell'intervento individuale: il soggetto invece influisce e modifica, in una relazione incessante, il modello sociale nel quale agisce. 
Ogni soggetto fa mondo tanto quanto il mondo faccia gli individui.
Seguendo questa scia di pensiero, un contesto è l'insieme delle prassi che l'hanno generato e che continuano a generare nuove prassi, nuovi individui, nuove figure del processo storico.
È come un'eco che viene da lontano e spira accanto.
Debbo averlo avvertito anch'io quell'eco quando iniziai, poco più che ventenne, a fare di me un imprenditore.
E molto prima di me, quell'eco colorato dal sole dell'alba sul mare, deve averlo sentito dentro di sé anche Antonio Mantella che i panorami mozzafiato della sua Stalettì se li è portati appresso fino in Canada, emigrato giovanissimo, spinto da quel soffio che anima la visione dell'esistenza: il coraggio della libertà, la fiducia nelle intuizioni, la forza dell'impegno. 
Nasce il 15 maggio del 1946, negli anni fatidici della ricostruzione post bellica, in una terra, la Calabria, che ancora viveva i drammi della marginalità, rimasta genuinamente aspra e selvaggia, infestata dalla malaria a causa di vaste aree paludose poi riconvertite grazie agli interventi della Cassa per il Mezzogiorno.
Ma non basta.
A un uomo di passioni come "Totò" Mantella non basta rimanere in paziente attesa che il cambiamento mobiliti un sistema economico a lungo depresso. 
Complice un amore intenso e contrastato, l'amore della sua vita per la donna che diventerà sua moglie, Gregorina, assieme a lei lascia la Calabria e quel suo paese sospeso tra i fasti del passato antichissimo e gli sguardi che mille e mille volte hanno corso da Sud, verso Punta Stilo, fino allo sperone crotonese a Nord. 


È il 1970.


Così, prendendo idealmente il largo da quelle sponde, Antonio e Gregorina si spostano prima a Torino e poi ben oltre, a Calgary, in Canada.
La forza della gioventù, con gli occhi ancora carichi di quelle distese d'acqua e di terra rocciosa sulla quale la pietra, l'erba e le piante si sfidano ogni giorno, sorregge una volontà mai domata dalla fatica, sempre intensa, a tratti sovrastante quando lo coglie fino ad assopirlo poco dopo cena, talvolta al tavolo della cucina.
Lavora e studia.
Fa la gavetta.
Inizia come saldatore.
E si laurea in ingegneria industriale - che da noi equivale al titolo in ingegneria gestionale - penetrando fin dentro al cuore dei modelli teorici della struttura d'impresa, avido di sapere, roso dalla "cupiditas sciendi et inveniendi". 


Eppure, mai lontano dal senso profondo d'amore per la sua famiglia: sapeva bene quanto fosse prevalente questo sentimento in tutto il suo agire. 
Fonte d'imprescindibile equilibrio e saldezza di valori.
Scrive Nietzsche nel suo "Così parlò Zarathustra":
«Dieci volte al giorno devi superare te stesso: ciò procura una buona stanchezza ed è papavero per l'anima. Dieci volte devi riconciliarti con te stesso: perché superarsi è amarezza, e dorme male chi non si è riconciliato. Dieci verità al giorno devi trovare; altrimenti cerchi la verità anche durante la notte e la tua anima è rimasta affamata. Dieci volte al giorno devi ridere ed essere sereno: altrimenti di notte lo stomaco ti disturberà, questo padre dell'afflizione.»
Un modo d'essere che Antonio Mantella deve aver fatto suo per partenogenesi di pensiero: è sempre rimasto se stesso, gioviale, compagnone, conviviale, accogliente.
Ma inflessibile quanto riflessivo e creativo nel lavoro: l'onestà intellettuale di puntare al vero delle cose non l'ha mai abbandonato e mai ha dato rifugio alle mezze verità, a quelle di comodo, al quelle del "quieto vivere".


Il suo ritorno in Calabria, nel 1979, non è tirare i remi in barca ma un audace rilancio.
E vince la partita, come sempre, dando vita a un'impresa nella quale coinvolge i due fratelli, Franco e Salvatore, la "Mantella veicoli industriali", fiore all'occhiello tra le grandi concessionarie calabresi e fonte solida di lavoro per centinaia di persone.
Un orgoglio per chi era partito con le tasche piene solo di fiducia e di speranza.


L'impresa, per Antonio Mantella non è mai stata esclusivamente un fatto economico: si tratta di vederne l'anima, quel microcosmo che dal semplice pensarla diviene realtà giorno dopo giorno, decisione dopo decisione.
È una nave, un equipaggio, un capitano e i suoi ufficiali.
È una rotta che taglia il mare in direzione di un orizzonte.
Lo capisco bene.
C'è un motto, un ossimoro latino, forse risalente a Zenone, riproposto da Erasmo da Rotterdam nel suo “Adagia”, 1500, (Centuria 1878) con questa formulazione:
«Nunc bene navigavi, cum naufragium feci»
«Posso dire di aver ben navigato, solo dopo aver fatto naufragio».
Non si tratta di riferirsi al viaggio, ma al viaggio per mare, là, dove nessuna strada è tracciata e ogni rotta è possibile e ogni istante può mutare in tempesta.
Come nella navigazione non si può fare a meno di una rotta, così nella vita dell'impresa non si può fare a meno di una visione coerente con i presupposti.


Antonio Mantella lascia quando si avvede che quel modello aziendale non potrà perseguire fino in fondo la sua missione.
E lui sa bene come si fa impresa.
La lascia ai fratelli e intraprende di nuovo, questa volta assieme ai due figli maschi, Sandro e Massimo, animato dal coraggio di sempre, spostandosi prima a Napoli e poi a Milano, fondando la "Kolinpharma" e acquisendo la concessione per tutta Italia della "Lamberet" che consolida attraverso le due agenzie in Lombardia e nel Lazio.
Aziende floride.
Espressione di una mente vulcanica, eclettica e concreta, in equilibrio tra visione e dovizia.


E soprattutto dell'infinita attenzione per ogni componente della famiglia: questo il suo connotato, l'elemento che ha sempre fatto la differenza, la motivazione che ne ha sempre spinto l'inventiva e l'azione oltre le celebri "Colonne d'Ercole".
Assieme alla memoria.
La memoria non è immagine permanente: sfuma, perde consistenza fino a sciogliersi in una macchia indefinita.
Come di rovine che saturino l'antica grandezza.


La memoria è invece, per paradosso, un elogio dell'oblio.
Poichè tutto ciò che rimane memorabile si smaterializza, quello che apparentemente si perde è invece perenne ricordo della dimenticanza.
Così, il dimenticato riappare sollecitato da una ricerca profonda che sempre conduce in un abisso sterminato.
«Grande è questa potenza della memoria, troppo grande, Dio mio, un santuario vasto, infinito. Chi giunse mai al suo fondo? E tuttavia è una facoltà del mio spirito, connessa alla mia natura.» (Agostino d'Ippona, Confessioni, 10, 8. 15)
Già, la natura dell'uomo è ricondurre il tempo al presente: è forse questo il vero significato dell'eterno ritorno nietzschiano.
Ecco che l'immagine del mare e delle sue albe sullo Jonio è un atto che fa eternamente ritorno al presente, come traccia inestinguibile che ha segnato l'anima.
E non possiede altro mezzo se non la vita stessa di colui che ha respirato quella brezza e ascoltato quei suoni lenti.


Per altri rimane sentimento malinconico.
Per chi come Antonio Mantella se l'è sentita dentro come dono inatteso, è vivida certezza di sé.
Per questo ha sempre trovato piacere nel raccontarsi: non era il semplice narrare piccoli e grandi avvenimenti, ma esprimerne l'origine sotto forma di metafora.
Senza mancare mai anche al ruolo pubblico, doveroso per una figura come la sua, nel paese natio, Stalettì: qui, in questa rarissima registrazione audio lo si sente durante un comizio, un intervento dal quale traspaiono in tutta la loro intensità le sue convinzioni, la sua dirittura etica e morale.


Dietro quegli sguardi sulla distesa d'acqua e di sabbia, oltre il sipario che copre la scena della coscienza, sono rimasti celati i suoi pensieri, i sogni, gli stati d'animo, le incertezze, le ambizioni, la temerarietà delle sfide, le passioni, l'amore, il volto dei figli e poi dei nipoti, le voci innumerevoli e le scommesse vinte e quelle perdute e poi riscattate.
La lunga passeggiata della sua esistenza, conclusasi il 15 giugno del 2022.
A viso aperto, come fa il sole che sorge.


Angela Mantella evoca il padre in alcuni versi, densi e toccanti: 
Amavi la Calabria.
Arde ora il tuo spirito nella terra e dalla zolla arida sbocciano girasoli.
Dalla grana degli ulivi sgorgherà
nuovo oro,
verde e denso,
nutrirà una lanterna
ad illuminare il tuo riposo.
Ti cerca la tua bambina
nel sonno,
ode ancora la tua soave voce,
sacra la casa che hai edificato,
sussurra come una foresta
la tua perenne presenza.
Cammineremo ancora nell'onda,
sulla battigia seguendo le tue orme,
il tuo abbraccio si estende oltre la Notte,
albeggia nel tramonto.


Tempo fa ho scritto un "racconto breve", pescato nell'oblio della memoria delle mie estati a Montepaone Lido, ridestato dalle immagini di quella spiaggia, davvero splendide, di Alfonso Sanso: sua la fotografia in copertina e queste in alto.
Ecco il testo:
ALBA IRRIPETIBILE
Il respiro vigoroso della Terra, in una luce senza volto.
"Presto, dai che lo perdiamo..."
Voltato l'angolo del viottolo, subito dietro la selva di pini, ecco il palcoscenico: l'immensa distesa d'acqua in ritmica attesa pennella la battigia.
Ci sediamo.
Un abbraccio antico.
Felici.
Tempo e spazio diventano l'incanto dell'irripetibile.
Il sole.
E lentamente sorge dal mare la memoria dell'emozione.
Atto unico in un momento perenne.
Si recita a soggetto, nel teatro della vita.
Si tratta di una dedica.
Assai personale, intima.
Ma la condivido volentieri nel ricordo di quest'uomo verso il quale sento una naturale affinità.
Certo, lui rimane il paradigma dell'imprenditore, nelle tracce dell'Ulisse "omerico" che fa ritorno a Itaca.
Mentre, nel mio caso, prevale la figura dell'Ulisse "dantesco" che a casa non tornerà mai più. 
Forse abbiamo avuto lo stesso sguardo e le stesse sensazioni, negli stessi luoghi.
Forse è un caso che entrambi abbiamo sentito lo spirito libertario dell'impresa.
Forse.
Oppure, è anche questo un eterno ritorno.

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