Il mondo in attesa


Stati Uniti d'America. Anno Domini 2020. Novembre. Elezione del presidente. Vigilia. Potrebbero essere queste le parole chiave più digitate in queste ore. Assieme ai nomi dei candidati: Joe Biden e Donald Trump. Ma le parole non bastano per evocare il clima di attesa per l'esito di una competizione elettorale mai così importante nella percezione di milioni di persone in tutto il mondo. Nell'incertezza di un esito che, appunto, tanto scontato non è, un esito che potrebbe riservare sorprese: nessuno scommetterebbe troppo nella vittoria di Biden, dato in vantaggio nei sondaggi ma forse più debole di quanto lo fosse Hillary Clinton nel 2016

Non credo che Trump ce la farà. Ma chissà, forse, non è detto.
Da quando quattro anni fa mi occupai di seguire la campagna per le presidenziali americane, spendendomi per un pronostico favorevole all'attuale inquilino della Casa Bianca, tra i dileggi e le critiche piovutemi addosso sulle pagine social dedicate alla politica internazionale, ho guardato con attenzione alle attività di Trump, un'attenzione da osservatore, notista e studioso della politica. 
Ebbene, ho avuto modo di constatare che, per quanto alcune delle sue iniziative possano aver suscitato clamore e disapprovazione, la maggior parte dell'elettorato americano, conservatore e reazionario, ha continuato a sostenerne le posizioni. Che, del resto, Trump ha sempre assunto per istinto e non per reale convinzione: al presidente uscente importa assai poco quale debba essere una linea di principio, molto di più quale debba essere un principio vincente per ottenere l'approvazione dell'opinione pubblica radicale, quella che oggi trascina il resto dell'elettorato repubblicano.

Cosa è cambiato dal 2016

In politica gli scenari mutano rapidamente, anche quando ci si illude che tutto rimanga identico. Giunto alla Casa Bianca nella scia di una reazione dell'America più profonda e schiumante di rabbia per la crisi che ne aveva eroso i livelli di benessere raggiunti, Trump ha percorso quella scia senza deviazioni, compiacendo questo elettorato platealmente, attraverso provvedimenti di politica economica molto netti, con iniziative assai discutibili riguardo all'immigrazione, mutando l'azione americana in politica estera all'insegna di un vuoto "America first" che ha cercato di riempire senza badare alla qualità delle scelte. Per la tendenza isolazionista degli Stati Uniti, le critiche all'Onu, i tagli alla Nato e la pretesa di un maggior impegno economico degli alleati occidentali, le dispute con il Canada, il pugno duro e poi l'apertura improvvisa alla Corea del Nord, ma soprattutto le guerre commerciali, in primis nei confronti della Cina, le iniziative di Trump sono state una leccornia gustosa, irrinunciabile. 
Ecco perché, prima della pandemia da Covid-19, la conferma di Trump era data per scontata: come immerso in una campagna permanente, il tycoon della Grande Mela, aveva accresciuto il consenso, spinto soprattutto da una ripresa economica notevole.


Appunto, prima della pandemia. 
Qui Trump ha oscillato pericolosamente. All'inizio, con i provvedimenti di sostegno piuttosto rilevanti, frutto di una decisione rapida ma corretta, ha dato fiato immediato al sistema economico. Poi ha preso con sé Anthony Fauci, immunologo di fama mondiale e capo del National Institute of Allergy and Infectious Diseases. 
Scelte razionali per un presidente.
Ma non troppo, per Trump che, intendiamoci, non diventa moderato e ragionevole se il suo elettorato non lo è.
Questo è il punto. 
Il suo istinto politico gli ha suggerito di cominciare a sbruffoneggiare sulla pandemia, così come milioni di americani hanno fatto a lungo ignorandone la perniciosità e la forte capacità di diffusione. Così, come sempre, Trump si è messo in scia ed ha pensato bene di rafforzare questa linea negazionista, perfettamente congeniale allo spirito da "vaccaro rude" dell'elettorato reazionario che, come detto, guida le scelte del mondo conservatore americano. 
Ed è andata male, malissimo. 
Centinaia di migliaia di morti, confusione, boutade di ogni genere sui rimedi contro il virus, litigi sempre più cruenti con lo stesso Fauci, fino al suo contagio risolto in pochi giorni a simboleggiare la vittoria sul virus e sulla paura, anche qui a beneficio di un bullismo sempre in voga.
Nel frattempo, un'altra emergenza, legata alla recrudescenza del razzismo, ha infiammato le strade delle città d'America, accendendo un altro fronte controverso sul quale, come al solito, Trump è intervenuto gettando benzina sul fuoco, alimentando le divisioni e difendendo un'altra delle punte avanzate del radicalismo di destra: i suprematisti bianchi. 
Ancora una volta, la scelta è stata indirizzata verso la frangia peggiore, nella convinzione che nel profondo, pur silente, l'elettorato conservatore si lascerà guidare da questo modello politico.

Sempre più a destra. Sempre meno a sinistra

Dunque, mentre tutto è andato mutando rapidamente, la posizione di Trump si è spostata ancora più a destra: è questa la scommessa. 
Trump ha puntato tutto quello che aveva. E non solo lui.
Biden ha sfruttato il radicalismo dell'avversario per presentare il volto di un candidato moderato, attento ai principi, a favore della pacificazione sociale, prudente nel fronteggiare la pandemia affidandone le scelte fondamentali alla scienza. 
Potrebbe funzionare. Razionalmente, in linea con le tendenze dell'elettorato tradizionale dei democratici, Biden è un candidato più che accettabile. 
Tuttavia, potrebbe non essere sufficiente.
Il medesimo mutamento di radicalizzazione dell'elettorato conservatore è avvenuto anche nell'elettorato progressista - sono etichette che ci permettono di distinguere i due schieramenti e non hanno valore identitario - nel verso di una forte spinta riformista, diretta a incentivare il ruolo del sistema pubblico e in chiara contrapposizione con le posizioni iper-liberiste sostenute da Trump. 
Biden ha colto l'importanza di una prospettiva così dirimente?
A me sembra di no. 
Ma non sono certo che questo l'indebolisca: è probabile che egli possa beneficiare di un travaso di voti provenienti dalla corrente più moderata dei conservatori americani, alla quale il candidato democratico punta decisamente. 
Si potrebbe dire, nel suo caso: sempre meno a sinistra.

Obama scende in campo

La posizione di Biden, indubbiamente sostenuta dai sondaggi fin qui favorevoli e da buone performance nei dibattiti televisivi con il suo antagonista, appare, come detto, incerta. Talmente incerta da dover ricevere un sostegno ritenuto decisivo: quello del ex presidente Barak Obama.


Si tratta della carta vincente che Biden ha calato sul tavolo verde della partita a due con Trump.
Ora, non vi può essere alcun dubbio che il sostegno di Obama fosse scontato: Biden è stato per otto anni il suo vice alla Casa Bianca, sarebbe stato ben strano non spendersi per il candidato democratico.
Eppure, i discorsi pubblici dell'ex presidente sono apparsi eccessivamente polemici verso Trump e ben poco proiettati verso una visione politica di lungo periodo. Insomma, l'Obama che un tempo avrebbe dettato la linea, oggi si occupa di muovere critiche scontate al candidato repubblicano, a volare basso, a lasciarsi contagiare da un banale anti-trumpismo che piace molto alla elite democratica ma che potrebbe ricevere scarsa attenzione dall'elettorato di sinistra, non più una minoranza nello schieramento democratico.
Vedremo.

Da cosa saranno decise le elezioni

A tirare le somme, direi che la paura del virus potrebbe risultare decisiva. Ma non quanto lo è in Europa, non nella stessa misura. 
Tuttavia, può essere il collante che tiene insieme un paradosso, anzi un ossimoro elettorale: i moderati conservatori da una parte e i radicali democratici dall'altra. I primi per scelta razionale spaventati dal bullismo di Trump; i secondi perché sostenitori di un ruolo pubblico più intenso nel sistema sanitario, a beneficio dei meno abbienti. Se si costituisse questa saldatura, la vedo bene per Biden.
D'altronde, un certo radicalismo di sinistra spaventa e infervora i conservatori: le scene di violenza vandalica nelle notti americane degli ultimi mesi e il formarsi del Black Lives Matter come punta avanzata delle rivendicazioni razziali, potrebbero aver indotto alla mobilitazione segmenti di elettori usualmente ritrosi e portati all'astensione. Quanto possa essere consistente questa reazione è difficile affermarlo. Però, è certo che ci sia, silenziosa e strisciante come sempre.
Infine, bisogna parlare di un altro segnale venuto in questi giorni dai votanti  che si sono recati in anticipo alle urne. 
Spaventati dal virus? Buono per Biden. 
Spaventati dai radicali di sinistra? Buono per Trump.
Democratici mobilitati dagli appelli di Obama? Buono per Biden.
Conservatori che credono nella politica economica liberista dell'attuale presidente? Buono per Trump.
Insomma, a cosa credere?
Ormai non c'è più tempo per i pronostici.
Ormai, è solo il tempo dell'attesa.  

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