Il binomio mal riuscito tra pandemia e comunicazione

 

Da mesi siamo immersi in una situazione drammatica, la presenza di un virus dagli effetti letali ma dall'ambigua natura ancora misconosciuta dagli scienziati. La politica si è trovata di fronte ad uno scenario del tutto nuovo, molto problematico in Occidente per lo stile di vita e le imprescindibili libertà costituzionali alle quali si rinuncia, anche temporaneamente, di malavoglia. La conseguenza è la ricerca di una comunicazione che risulti adeguata ma che è oggettivamente difficile da realizzare in un clima di disorientamento, tra critiche fondate e allarmi che oscillano tra il prudente e il catastrofico. Con il rischio, molto facile, di perdere autorevolezza o cadere nel grottesco

L'esame di comunicazione in tempo di Covid-19 per politici e scienziati potrebbe rivelarsi una sonora bocciatura. Il segnale viene dall'incertezza che alberga tra gli osservatori, i cittadini, i piccoli e grandi imprenditori, persino tra medici e scienziati che se le dicono di santa ragione fornendo pubblica evidenza di quelli che, con eufemismo, potremmo definire divergenze tra accademici. 
Si rasenta il caos. 
Talvolta, si supera.

Politici, paternalismo e proclami da sceriffi

Cosa si può dire della classe politica nostrana? Nulla di confortante.
Ma per non peccare di un eccessivo provincialismo critico, diciamo che in Europa siamo in buona compagnia. 
Mentre per senso di pietosa considerazione, evito di volgere lo sguardo all'organizzazione mondiale della sanità. 
Tant'è.
Eppure, sembrava fossimo partiti con il piede giusto: un lockdown assunto ben prima di altri Paesi europei e occidentali, regole più o meno chiare, qualche errore veniale, un idem sentire l'esigenza del contenimento di un virus dimostratosi letale. Letale probabilmente, lo dico col senno di poi, a causa della presa in carico ritardata dei malati più a rischio. Ma questo è un altro discorso.
Dicevo, eravamo partiti discretamente, con un presidente del consiglio risoluto e convincente, magari incorso in qualche scivolone, ma che è riuscito ad infondere una certa sicurezza. Specie nella lunga e faticosa trattativa per convincere i partner europei dell'efficacia di dare corso misure finanziarie immediate.
Insomma, un Conte inatteso, apparso adeguato alla difficile prova. Idem alcuni ministri come Speranza e, per la verità, pochi altri.
Si è distinto un vice-ministro alla Salute, Pierpaolo Sileri, divenuto un efficace "frontman" navigando tra i talk show di ogni canale: eloquio pacato, autorevole, mai sopra le righe, è riuscito ad apparire sincero e competente, prudente quanto basta, onesto nelle idee.
Altri? Sarebbe meglio per loro dire "non pervenuti".
Vabbè, Zaia ha gestito bene la situazione, mentre De Luca ha intensificato i suoi show divenuti un vero e proprio must sul web.
Dicevo, altri? 
Un miscuglio di populismo e improvvisazione, eccessi, paternalismo becero, protagonismo sempre più insopportabile, alimentato da un giornalismo a cavallo dell'onda.
In mezzo, le infinite lungaggini della burocrazia che come al solito ha rallentato i provvedimenti governativi, anche quelli sulle banche, un po' troppo ottimisti e forse mal congegnati: in questi casi, la comunicazione è apparsa lacunosa e fuori le righe, perché i fatti si sono incaricati di smentire le conferenze stampa del governo.
L'opposizione? 
Caotica, pasticciona, mai davvero in scia con una strategia efficace, ha perso autorevolezza progressivamente - si veda la caduta di consenso per Salvini e la Lega - dividendosi e sperimentando in modo plateale come la mancanza di un accurato programma politico influisca sulla comunicazione: non si può tirare avanti a colpi di slogan e di critica pregiudiziale.
Poi, con la fine del lockdown si è aperta una voragine nella quale tutti sembravano orfani di una telecamera, con un cambio di paradigma comunicativo improvvisamente passato dal clima da tregenda al "godiamoci l'estate".
Qui, sono mancate le parole giuste accompagnate da provvedimenti conseguenti.
E la retorica più vuota è tornata in campo, tra "stati generali" e polemiche sulle task force governative, Mes sì e Mes no, riparte o non riparte il campionato di calcio e via andando.
Il passaggio dalla tragedia alla commedia ha lasciato frastornati ma felici i cittadini italiani e le loro imprese, tutti increduli di uno scampato pericolo - salvo i 37.000 morti registrati - e pronti a tuffarsi nel bel vivere delle cene e delle spiagge affollate.
Adesso se ne vedono le conseguenze. E non si ha il coraggio di prenderne atto. Perché, alla fine, il problema è l'inadeguatezza del sistema sanitario e nessuno è riuscito a spiegarlo con esattezza: il timore che i cittadini potessero ridurre la soglia di attenzione alle misure di prevenzione, ha spostato la comunicazione su epifenomeni immemori della fonte dei problemi. E anche di questo, cominciano a vedersi le conseguenze: ormai tutta la stampa punta il dito su quanto non è stato fatto e su quello che è stato detto.

Virologi, epidemiologi e clinici vari

Questa è forse la parte più grottesca di tutta la congerie di chiacchiere spese da gennaio circa fino ad oggi: le star del virus, gli accademici d'Italia, hanno occupato quasi manu militari la cronaca quotidiana, contraddicendosi giorno dopo giorno, gli uni contro gli altri, sempre pronti a parlare di questioni più afferenti la politica sanitaria che non la pandemia e il virus. 
Sì, è vero, sono stati catapultati nel mondo frenetico dell'informazione, e in quel vortice hanno mostrato tutti i loro limiti nello spiegare e argomentare.
Ma, in fondo, si tratta di un limite che ha a che vedere con la loro cultura di medici che sottovalutano la maturità dei pazienti e persino la loro natura di esseri umani senzienti: danno l'idea di parlare a bambini, non si può dire loro tutto, non si può essere schietti e chiari.
D'altronde, non ho mai apprezzato il vezzo dei medici che di fronte ad un paziente usano dare il "tu" dimenticandosi di parlare ad una persona che, in quel frangente critico, dovrebbe ricevere quantomeno un trattamento rispettoso della dignità personale. 
E del resto, il modo stesso in cui è organizzato il sistema sanitario nel nostro Paese dovrebbe far riflettere sulla relazione con i pazienti, e mi riferisco sopra ogni cosa ai reparti di terapia intensiva che appartengono, per l'oscura solitudine di chi ci entra, anticamere, senza voce, dell'inferno.
Nessun essere umano, quando è vicino all'estrema soglia, merita diventare solamente un corpo attaccato ad una macchina. 
La cura verso chi trapassa e il culto dei morti appartengono alle originarie espressioni di civiltà, coincidono con l'inizio della storia.
Non andava dimenticato e occorreva fare qualcosa in questa direzione.
Tuttavia, la situazione di estremo stress, si capisce, per medici in prima linea e operatori sanitari, ha reso molto ardua una comunicazione adeguata del dramma vissuto nei momenti di picco dell'epidemia. Ma lo stesso non potrebbe dirsi di manager e direttori d'ospedali, e del loro staff amministrativo, completamente assenti: ennesima, pessima prova. 
Sulla quale la politica dovrebbe riflettere. 
Ma non lo farà.
Nel complesso, la comunicazione scientifica ha fatto acqua un po' dappertutto, salvata solo dalla percezione popolare del solito, pervasivo vizio italiano: la polemica sempre e a tutti i costi.

Giornalismo a tema unico

Non me la sento di polemizzare contro la categoria alla quale appartengo - anche se dallo scranno privilegiato e timidamente aristocratico del "pubblicista"- e mi limito a qualche considerazione generale, partendo dalla seguente: i giornalisti stanno sulla notizia e la estenuano, direi la sfiniscono fino a che possono. 
E' il loro mestiere. 
Come aspettarsi dai giornalisti che facciano un po' d'ordine nei fatti che raccontano quando le notizie si rincorrono e si accavallano a ritmi inesorabili sui pc delle redazioni? 
Chi ha potuto, mi pare, abbia cercato di fare chiarezza, di togliere pathos alla questione incalzando gli scienziati o provando a stuzzicare politici di governo e di opposizione. 
Ma è equivalso, e lo è tutt'ora, al tentativo di svuotare il mare con un paio di secchi, talvolta bucati.
Nessuno è davvero mai venuto a capo della situazione, indice di una confusione che è partita sempre dalla fonte, fossero le istituzioni politiche o accademiche, la protezione civile o il mega commissario Arcuri che ha lasciato in uno stato di notevole perplessità molti osservatori.
Questo è il punto vero, siamo al punto nodale di tutta la faccenda: l'incertezza quotidiana, che spaventa se riguarda il governo e in generale il mondo politico e amministrativo, ma desta sconcerto quando proviene dai tecnici dei virus e delle epidemie, gli uomini e le donne di scienza e di medicina che hanno dato vita ad uno spettacolo talvolta grottesco nel tentativo di fare un mestiere che non è davvero il loro.
Risultato ad oggi?
Siamo passati dal caos iniziale, comprensibile, ad un caos attuale del tutto ingiustificato.
E se la comunicazione è razionale uso del linguaggio, ebbene, sono tempi duri per questa disciplina, confinata e abbandonata come "vox clamantis in deserto". 

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