Da Hegel agli 'idioti' nel senso greco
Dimenticata e fraintesa, la filosofia hegeliana ha insegnato che esiste una razionalità del reale, una logica, spesso lontana dall'evidenza, che costituisce i fenomeni e spiega i processi storici. Come dire: per comprendere il significato dei fatti, lasciamo da parte la cronaca e guardiamo alla sostanza nascosta capace di spiegare l'origine di un avvenimento. A rifletterci, questa è l'essenza dei regimi democratici avanzati nei quali l'informazione ampia e diffusa si pone come cardine del diritto di scelta individuale e di gruppo: addentrarsi sotto la patina della superficie per potere vedere la verità è una sorta di imperativo categorico dell'uomo contemporaneo. Fino a diventare esercizio del dubbio. E sfociare nel suo estremo: il complotto a tutti i costi. Che appare razionale a chi lo propone tanto da mascherarne la natura di intellettualismo idiota.
Le immagini di "Capitol Hill" assalita da bande di facinorosi, una sorta di hooligans scappati da uno stadio di provincia, roba da "Animal House", la celebre pellicola di John Landis, vandali insensati che violano impunemente uno dei luoghi simbolo del sistema rappresentativo degli Stati Uniti, hanno fatto il giro del mondo, consegnandoci un caso paradossale: la democrazia che si ammala di democrazia.
Come è possibile, ci si chiede, che la più grande e solida democrazia d'Occidente abbia lasciato che si realizzasse questa invereconda follia travestita da pagliacciata?
Perché di pagliacciata si tratterebbe se non si fossero registrati cinque morti negli scontri.
Qualche osservatore di casa nostra, eccedendo nei commenti, ha rubricato l'avvenimento come un tentativo di golpe; qualcuno ha evocato una sorta di prova generale di colpo di stato; altri hanno ricostruito la vicenda leggendola come un prova di forza che renderebbe Trump un temibilissimo "capopolo" in grado d'impaurire istituzioni politiche e perfino giudiziarie.
Ora, provando a ragionare, fissiamo un punto: chi erano gli energumeni che si sono prodotti in un insensato assalto teppistico al parlamento degli Stati Uniti?
Nel senso greco, si tratta di "idioti".
Cosa avrebbe dimostrato Trump in quest'occasione?
Di essere, sempre nel senso greco, un "idiota".
Facciamo un passo indietro: capire l'origine è importante.
Comunemente si crede che la filosofia sia una disciplina astratta, esclusa dai processi storici, sociali o economici o di costume che siano.
Nulla di più falso.
La filosofia è prassi, incide sulla coscienza sociale con la potenza di un un riflesso concettuale silenzioso, privo di citazioni, sotterraneo e implacabile: parafrasando Hegel, è come una talpa che scava nel sottobosco della storia in un incessante, febbrile e cieco fermento.
Non c'è fragile contemplazione nella coscienza filosofica, che lo stesso Hegel definiva, al contrario, "civetta" per farne l'allegoria dell'uccello notturno che spicca il volo solo sul far del tramonto - quindi in ritardo, come la filosofia, rispetto alla storia - ma una presenza che non cessa mai di produrre effetti.
Così, anche la difficile speculazione hegeliana entra nella storia e lascia un segno indelebile, recepito nonostante lo smarrirsi dell'origine: l'idea che la realtà possegga un struttura razionale al pari delle leggi naturali.
Dunque, nulla accade per caso, esiste una ragione.
Ma occorre saperla vedere al di sotto della superficie, portarla in luce attraverso un riscontro scientifico.
Se si vuole, in Hegel si potrebbe vedere una sorta di santo patrono del giornalismo, quello serio, che esiste al contrario di ogni ipotesi di canonizzazione del filosofo tedesco.
Il giornalismo d'inchiesta così come il mestiere di ricerca che compete allo storico, tenta di raggiungere la verità sfrondando il campo dalle apparenze, dalle emozioni, dai turbamenti, per cogliere l'origine dei fenomeni, comprenderne la genesi, valutarne i possibili sviluppi.
Quest'idea è penetrata nel XX secolo: a volte con l'irruenza delle dottrine politiche come nei regimi totalitari di destra e di sinistra; altre, con i tratti di un'autocoscienza che si è fatta strada tra i cittadini, che è cresciuta con il moltiplicarsi dell'informazione e infine, penetrando nel XXI secolo, viaggiando e diffondendosi a velocità impensabili.
Così, l'oggi è caratterizzato in misura considerevole non più solo da individui informati, ma da figure che formano da sé convinzioni cervellotiche alla ricerca perenne di conferma.
Quando questa si manifesta attraverso l'interconnessione favorita dai social media, il risultato può assumere una consistenza sorprendente.
Nascono in questo modo un profluvio di teorie del "complotto", sull'esistenza di poteri "forti e oscuri", di "sette" di ogni genere che influenzerebbero i sistemi democratici, di "presenze dominanti" che nasconderebbero inconfessabili segreti.
Una volta, c'era chi sosteneva l'esistenza degli UFO in parallelo alla presunta intenzione di tenerne celata la presenza sulla terra da parte dei governi e dei servizi segreti.
A poco a poco hanno trovato spazio teorie sempre più imbarazzanti: da quella dell'allunaggio del 1969 visto come una truffa della NASA, fino a quella che vorrebbe smentire l'attacco islamista dell'11 settembre 2001 alle torri gemelle sulla base di una teoria cospirazionista.
Si rideva di queste asserzioni.
Ma prima di queste, sono apparse, anche in campo accademico, purtroppo, teorie che negavano l'Olocausto riducendolo ad un complotto giudaico e comunista.
E queste, francamente, non facevano ridere affatto, piuttosto suscitavano e suscitano ancora un profondo disgusto.
Rimanga un dato: politicamente, il complottismo viscerale guarda sempre a destra, alla destra estrema.
Tant'è.
Poi, come detto, il web ha accelerato inconsueti processi di diffusione ed oggi, negli Stati Uniti, lo schieramento conservatore repubblicano ha fin qui flirtato, prima con i gruppi ultrareazionari di matrice religiosa, poi con quest'arcipelago di sodalizi che vanno dai no-vax ai terrapiattisti, dai rettiliani ai seguaci di QAnon accomunati dall'idea del complotto di satanisti e pedofili che indosserebbero i panni di leader politici democratici e grandi nomi dell'imprenditoria e dello show business.
Sorprendente?
Ricordo che qualche anno fa fece scalpore la vicenda di Tom Cruise, il celebre attore americano che dopo aver aderito a "Scientology", una setta religiosa sospesa tra misticismo e fantascienza, assunse comportamenti conseguenti e assai deprecabili nel suo ambito familiare.
Dunque, non si parla di individui di bassa estrazione sociale o di scarsa attitudine culturale, per quanto la figura di Cruise non brilli per particolari qualità intellettuali che non siano quelle legate all'idea che un attore di successo, in quanto tale, debba essere un individuo consapevole e misurato.
Qui sta il punto.
Si tratta dell'effetto perverso di un protagonismo individuale che da decenni corrode le strutture complesse dei sistemi sociali avanzati.
Se la filosofia è un risveglio dal sogno, inteso come la più estrema metafora dell'astrazione di un individuo dalla relazione con gli altri, ebbene, questo risveglio si è costituito in parossismo della riflessione.
Mettere assieme qualche informazione, leggere il libro di qualche visionario, condire il tutto con confuse ricerche sul web e il gioco è fatto: nasce una teoria delle apparenze e guai a chi provi a smuoverne le fondamenta.
A proposito di come possano nascere, a partire da eventi sconnessi messi assieme per analogia, i prodromi di affermazioni visionarie, voglio citare un godibile aneddoto raccontato da Umberto Eco pochi anni fa, nel 2015, nel corso una lectio magistralis incentrata proprio sul tema del "complotto", tenuta dal famoso semiologo e scrittore italiano, il quale volle fare riferimento a quanto trovato sulla rete:
«Abraham Lincoln fu eletto al Congresso degli Stati Uniti nel 1846 e John Kennedy fu eletto al Congresso nel 1946. Lincoln divenne presidente nel 1860 e Kennedy nel 1960.
Entrambe le loro mogli persero il bambino che portavano in grembo mentre risiedevano alla Casa Bianca.
Entrambi furono uccisi da un colpo alla testa sparato da un sudista, in entrambi i casi di venerdì.
Il segretario di Lincoln si chiamava Kennedy e il segretario di Kennedy si chiamava Lincoln.
Il successore il Lincoln si chiamava Johnson ed era nato nel 1808, così, anche il successore di Kennedy si chiamava Johnson ed era nato nel 1908.
L’assassino di Lincoln, John Wilkes Booth, era nato nel 1839 e l’assassino di Kennedy, Lee Harvey Oswald, nel 1939.
Lincoln fu colpito a morte mentre si trovava al Ford's Theatre e Kennedy fu colpito a morte mentre era su una Ford modello Lincoln.
Lincoln fu colpito in un teatro e il suo assassino andò a nascondersi in un magazzino, l'assassino di Kennedy sparò da un magazzino e andò a nascondersi in un teatro.
Sia Booth che Oswald sono stati uccisi prima del processo.
Infine, ciliegina, un po' volgaruccia, una settimana prima di essere ucciso Lincoln era stato in Monroe Maryland, Kennedy una settimana prima di essere ucciso era stato in Monroe Marilyn».
Cosa aggiungere?
Si tratta dell'antico fascino delle coincidenze.
La dòxa vince sull'epistème.
Il pensiero alternativo possiede anche il pregio dell'originalità che scuote dal sentirsi inascoltati e repressi: è la conquista di una terra di nessuno o di pochi "eletti" che hanno capito tutto rispetto alla massa che non riflette, la liberazione dalle catene, l'uscita dalla caverna
Si tratta della malattia degli "idioti": in greco, ιδιώτης (idiòtes) è colui che non partecipa alla vita pubblica, che conduce un'esistenza tutta ricompresa nel proprio privato, che si "priva" di ogni relazione dialettica con gli altri e finisce col credere di poter bastare a se stesso, di essere l'unica misura della realtà, l'unico metro di giudizio sulle cose e sul mondo.
Di qui, nel tempo, la riduzione dispregiativa che tutti riconosciamo alla parola.
Uomini e donne così, si rapportano alla realtà nel modo peggiore: sono i timidi aggressivi che si credono perseguitati dal un cinico destino, che sono rosi da invidia sociale, che rifiutano la loro inadeguatezza e incolpano gli altri dei loro insuccessi, che si lamentano degli effetti dei propri errori senza mai riconoscerli, che non accettano critiche, fragili come sono nelle loro debolissime personalità, finendo col fare gruppo laddove questo divenga la panacea della loro inconsistenza, tra nevrosi e isteria, nell'unica condizione collettiva che possa appagarli: l'assenza di chi li contraddica.
E la possibilità di non dover più usare una maschera di compiacimento per nascondere la loro aggressività repressa.
Si tratta di emarginati sussunti in uno schema collettivo.
Pensate a chi frequenta gli stadi, oppure a coloro che attendono le assemblee di condominio per sfogare la loro rabbia inconsulta.
In tempi più vicini a noi, gli hater che invadono i social per il gusto dell'insulto più becero.
Gli esempi si potrebbero moltiplicare.
Ma il riferimento all'origine greca della parola "idiota" è molto indicativo della personalità individuale e poi di massa che attraversa questa moltitudine di arcipelaghi.
Quanti ne conosciamo di individui così? Tanti, vero.
Il riflesso in sé non è altro che una forma d'intellettualismo narcisistico e infantile esacerbato dal consenso e dai processi di conferma amplificati dai social.
Per non essere troppo tecnici, basterebbe considerare patologia diffusa quella che comunemente si appella come superbia, supponenza, vanagloria, eccessiva opinione di sé e delle proprie capacità.
Perché meravigliarsi: pensiamo di aver bandito, nel XXI secolo, i più ancestrali, atavici e deprecabili modelli di essere umano che si conoscano?
Ci siamo dimenticati degli ammonimenti sulla natura umana dei nostri Leon Battista Alberti, Machiavelli e Leopardi?
Nel mio piccolo, su questo argomento basterebbe leggere "Le Streghe di Shakespeare": mi scuso per la citazione personale.
Ovviamente, tutto va rapportato, lo ripeto ancora una volta, alla straordinaria spinta costituita dal web e soprattutto dai social media, che rappresentano la quotidianità di miliardi di persone sul pianeta.
Si tratta di un grosso problema, qualcosa che investe come una raffica ininterrotta di proiettili l'Occidente organizzato nelle democrazie liberali avanzate eppure carenti rispetto all'epoca assiale del web.
Non è certamente questa la sede per una dotta distinzione e quindi mi limito ad ammettere l'elogio dei social e della rete che, in molti casi, hanno rafforzato ed esteso il controllo e l'attenzione verso i diritti.
Per me come per i tanti che praticano i social media, si tratta di una possibilità di estensione delle relazioni francamente piacevole, in molti casi ricca di spunti utili, concreti, significativi.
Tuttavia, come ogni cosa che riguardi l'uomo, esistono margini di ambiguità che producono effetti contrari, dirompenti e imprevisti.
A questo "nuovo popolo", peraltro colpito duramente dalla crisi economica e finanziaria del 2008, si è rivolto un politico molto recettivo ai sentimenti negativi come Donald Trump, il quale è riuscito a fare di un complesso sistema violento e anarcoide il pilastro del suo potere elettorale.
Dopodiché, impegnato dal meccanismo di gestione della sconfitta - tra noi esperti di marketing elettorale lo definiamo "electoral defeat"- ha esagerato, lasciandosi trascinare dal fervore e dalla tensione di colui che, "idiota" nel senso fin qui spiegato, non ha accettato la sconfitta come una sequela di errori e di eccessi poco commendevoli compiuti da solo.
Grida al complotto. E chiede conferma. Come fa un "idiota", appunto.
La sua parabola è già durata troppo ed è finita nel modo peggiore.
D'altra parte, come non vedere i segni tipici di questo genere di atteggiamento, che accomuna Trump ai suoi sostenitori, sorto in vasti gruppi sociali rispetto al tema del momento, la pandemia da Covid-19?
Anche qui, complotti, teorie le più varie, in Italia quelli che inseguivano le ambulanze per dimostrare che fossero vuote, il negazionismo condito da presupposti di tutela delle libertà e via cianciando.
Una cosa sono simili sciocchezze.
Altro è una corretta contestazione delle misure governative quando evidenziano confusione e improvvisazione.
Forse è vero che le democrazie occidentali non siano compatibili con le misure da prendere nel corso di una pandemia: soffrono tremendamente le restrizioni più che nei Paesi a regime totalitario o fortemente intrisi di una cultura collettiva come nel sud-est asiatico o in Giappone.
Comunque, su questo blog ho avuto modo di affrontare l'argomento nel verso di un possibile rimedio, facendo appello al punto di vista di un celebre accademico e saggista italiano, Umberto Galimberti: rinvio questo cenno al testo dell'articolo.
Aggiungo solo che la risposta non è confortante.
Motivo di più per ritenere che non si tratti di una deriva appartenente a frange estreme: che esistono, e sono rappresentate dai vandali con le corna da vichingo entrati nella camera dei rappresentanti a Washington.
Ma oltre a queste, comunità sempre più folte, di stampo religioso e laico, accomunate dall'idea di possedere le chiavi di lettura degli eventi, della storia, della politica, dell'economia e perfino della scienza, si muovono come maree improvvise e d'un tratto inondano tutto quello che trovano.
"L'etica protestante e lo spirito del capitalismo" è un testo classico di Max Weber che, a questo proposito, sarebbe il caso di rileggere.
Per comprendere e interpretare la forza di alcuni fenomeni sociali.
Se non altro, anche per rivalutare, alla luce dei nostri tempi, la tendenza di un certo cattolicesimo avveduto e tollerante a svolgere un ruolo di guida e di riflessione.
Che manca, per una caduta di autorevolezza nel dopo Wojtyla piuttosto ardua da recuperare.
Lo affermo, si badi, da non credente.
Aggiungo che considero chi si proclami "ateo" e usi le facezie per attaccare la storia cristiana dell'Occidente, un "idiota", sempre nel senso greco.
E lo affermo nell'ottica di promuovere un'opinione da osservatore della politica e della società: le democrazie diventano più fragili quando a venir meno sono i corpi intermedi, anche quelli di matrice religiosa, nei quali si dibatta e si organizzi la rappresentanza.
E non mi riferisco solo ai partiti ma anche alle organizzazioni sindacali ed ai vari organismi di promozione e tutela sociale, alle diverse strutture di categoria, alle associazioni, ai gruppi che perseguono uno scopo di partecipazione attiva nella costruzione degli orientamenti politici.
Queste formazioni, se volgiamo lo sguardo al nostro Paese e più in generale alle democrazie occidentali, in particolare proprio negli Stati Uniti, sono quasi scomparse ovvero, laddove "resistano", sono svuotate di un contenuto che non sia quello del mantenimento formale di gruppi dirigenti clientelari e molto fragili.
Manca il dibattito, mancano le regole democratiche, partiti e sindacati, organizzazioni datoriali e varie, mancano di un'etica.
Ma non voglio fare, con questo riferimento, del banale borbottio.
Anche qui, mi addentro nel significato originario: "èthos", il luogo della comunità, la casa comune, da cui deriva "ethikos", teoria del buon vivere.
Dunque, per vivere bene occorre entrare in relazione e governare la complessità delle relazioni.
Nella relazione emerge l'identità individuale e l'appartenenza, direi, il "sentirsi" parte di una comunità.
Si tratta di una questione connessa con la prassi, non di un astratto "dover essere".
Manca.
Manca qualcosa di essenziale.
Solo nella relazione, pur conflittuale - come ha insegnato cinquecento anni fa il nostro Machiavelli - può nascere un modello virtuoso di partecipazione politica, affidato a gruppi dirigenti capaci d'imprimere la direzione verso nuovi ordini, ordini necessari a contenere i processi storici, a strutturare in modelli istituzionali i cambiamenti, inevitabili, incessanti, delle condizioni di vita all'interno delle nazioni.
Le società sono in continuo movimento: se non trovano camere di compensazione nelle quali riversare la furia degli eccessi e governare l'azione politica in direzione della rappresentanza, gli effetti sono quelli fin qui descritti.
Non solo la follia delle frange estreme.
Ma anche una sorta di follia collettiva che può favorire l'affermarsi di modelli totalitari.
Può essere la "questione Trump" una di queste derive?
Non lo credo.
Rimango dell'avviso che la vicenda dell'Epifania 2021 a Capitol Hill rimanga un caso isolato.
Tanto da credere che tutto si risolverà per il meglio?
No.
Trump e la vicenda della sua presidenza rappresentano la punta dell'iceberg.
Gli Stati Uniti sono una democrazia febbricitante, un modello che risente gli effetti a lungo covati di una malattia profonda, aggravata dal notevole scollamento tra istituzioni e cittadini.
E la nuova amministrazione Biden, forse la migliore possibile in questo momento di drammatico caos, non avrà certo vita facile.
In Europa le cose funzionano?
Anche nel "vecchio continente", nazione per nazione, sono ormai in evidenza problemi non dissimili.
Così, mentre gli occhi sono puntati sugli "idioti", nessuno sembra aver preso in considerazione le censure unilaterali ed inappellabili dei social media, solo perché, precedute dal concetto di "politicamente corretto", sono state dirette verso Trump.
Ma chi può sostenere, oggettivamente, che domani social media come Twitter o Facebook non possano determinare esiti elettorali attraverso interventi censori di varia natura?
Con pacatezza, con equilibrio, occorre meditare su aspetti come questi.
Di certo non per gridare al complotto dei poteri forti.
I complotti come pratica diffusa non esistono.
Tutti i complotti della storia o sono falliti o sono stati scoperti.
L'osservazione vale soprattutto oggi, in un mondo nel quale tutto diventa trasparente e viaggia sulla rete.
Ma possiamo ammettere, con seria previdenza, l'esistenza di scenari nei quali posizioni dominanti possono cogliere l'occasione e approfittarne.
Questo significa esercitare il diritto al dubbio, in una democrazia salda nei principi liberali e sociali.
Eppure, con chi parlarne, con chi confrontarsi, con chi agire, se i partiti e gli altri corpi intermedi non sono più luoghi dell'incontro e del dibattito?
Anche quest'articolo viaggia su una piattaforma che appartiene a Google: e se per una ragione qualunque, una figura, nascosta dietro una consolle di controllo del più utilizzato motore di ricerca, decidesse di censurare tutti i testi che parlino di politica?
Ebbene, vedete com'è facile entrare in una spirale di drammatica visione del contesto?
In questa percezione, provate a immaginare cosa significhi per un singolo "idiota" sentirsi isolato rispetto alle proprie convinzioni.
E provate a pensare quale potenza possa essere scatenata da una comunità di "idioti" che improvvisamente si sentano sostenuti nelle loro fragili certezze intellettuali.
Bene.
Faccia ciascuno di noi quanto è necessario, anche in misura minima.
Evitando, tanto per cominciare, di inondare le nostre pagine social di asserzioni violente, apodittiche, perentorie, moralistiche.
Chi può, faccia uno sforzo di volontà, dimentichi il passato, esca dall'idiozia e cominci a ragionare, a pensare, a discernere.
E ad usare il linguaggio con la massima appropriatezza.
Chi non può, o non se la sente, rifletta ugualmente, tentando di capire se la sua esistenza sia effettivamente quella di un "idiota".
Mettersi in discussione, pratica quotidiana, sarebbe già un inizio.