Una magnifica illusione
Assisto al Concerto di Capodanno dei Wiener Philharmoniker da quando ero poco più che un bambino. Sono trascorsi ben oltre quarant'anni e ancora oggi rimane, per me, il caleidoscopio dei suoni che annunciano una cadenza epocale, imprescindibile, l'appuntamento con un nuovo inizio. Retorico sentimentalismo? Forse. E confesso che, alle prime note de 'Sul bel Danubio blu', sono sempre stato sopraffatto da una profonda emozione, fino alla commozione. Sempre. Se questo è 'sentimentalismo', allora rivendico a me stesso la fama di sentimentale ancora capace di sentire le vibrazioni che esercitano le corde della sensibilità.
Anche quest'anno, insolitamente, in una cornice senza pubblico, il concerto che apre il Nuovo Anno, dalla capitale austriaca, si è manifestato sullo schermo della tv, con la lucentezza dei fregi dorati della "Musikverein", la sala degli "amici della musica" che vidi, per la prima volta, da uno schermo televisivo, negli anni '80, quando campeggiava la figura spumeggiante, accattivante e autorevole di Lorin Maazel sul podio, gli immensi festoni di fiori di Sanremo e gli scroscianti applausi di una platea cosmopolita festosa come nessuna eppure composta in uno stile impeccabile, e poi le immagini, in scenari da vero incanto, delle danze favolose dei ballerini dell'Opera di Stato, trasmesse per il pubblico televisivo che beneficia anche delle riprese di una Vienna grondante magnifiche architetture barocche e neoclassiche.
Ricordo la voce suadente di Peppi Franzelin, la storica annunciatrice e conduttrice televisiva della Rai, i suoi curiosi commenti ai brani e i brevi racconti incastonati come godibili intermezzi tra un'esecuzione e l'altra, tutte magistrali.
Sono i ricordi di un ragazzino, avrò avuto 10 o 11 anni, e rimangono indelebili, ricordi che di anno in anno si sono alimentati di un'atmosfera sospesa, di un'energia intima, della scoperta di un miracolo di bellezza che rapisce i sensi, cogliendoli in attimi di estasi sognante.
Fu allora che m'innamorai per sempre della musica classica, trascinato dai suoi ritmi narrativi, potenti e languidi, romantici e sublimi, eppure astenendomi, per convinzione, dall'approfondirla secondo i canoni del musicofilo: ho sempre lasciato che mi "prendesse" mentre ho evitato accuratamente d'impossessarmene seguendo un consueto modello intellettuale.
Così, della musica ammetto di sapere quasi nulla, se non l'atteggiamento da assumere: quello dell'ascolto, fin dentro il soffio vitale dell'anima.
A me, è quanto basta.
Dicevo, anche quest'anno la magia si è ripetuta.
Ma la sala vuota, l'assenza inevitabile del pubblico, mi ha inizialmente lasciato una forte impressione.
Ammetto di avere esitato, per un momento, a lasciare gli occhi incollati allo schermo: mi è sembrata una situazione inaccettabile.
Maledetto Covid.
Poi, il richiamo dei sensi mi ha fatto desistere dall'incauto moto di stizza.
Ed è accaduta una circostanza assai strana, imprevedibile.
Lentamente, di fronte a quella platea e a quei palchi vuoti, mi sono sentito il solo ad esserci: l'immaginazione, quella del bambino che è rimasto cosciente in me, ha preso il sopravvento, mi ha stretto per mano e mi ha portato lì, unico tra milioni di unici, spettatore privilegiato tra milioni di privilegiati sognatori, ognuno, spettatore solitario.
La sala tutta per me.
Il concerto di Capodanno tutto per me.
Solo per me.
Come scrisse Francis Scott Fitzgerald ne "Il grande Gatsby": «... ad una ventina di passi una figura era sorta dall'ombra del palazzo del mio vicino fermandosi in piedi, con le mani in tasca, a guardare i granelli argentei delle stelle. Qualcosa nei movimenti disinvolti e nella salda presa dei piedi sul prato mi fece capire che quello era in signor Gatsby, uscito a verificare quale fosse la porzione del cielo locale che gli spettava.».
Ecco, d'un tratto mi sono sentito come il signor Gatsby: ho guardato l'orchestra, diretta dal "nostro" Riccardo Muti, nell'immensa sala vuota e mi sono chiesto quale fosse la porzione di platea a me riservata.
Ed è stato magnifico, per un lungo, lunghissimo istante.
Che non dimenticherò.
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