La radice invisibile del sublime
Pochi rammentano che gli artisti sono stati anche architetti, alcuni insigni: da Giotto a Brunelleschi, da Lorenzo Ghiberti a Michelangelo, passando per Giulio Romano fino a Bernini, per citare a memoria. L’architettura è una delle forme d’arte più rilevanti, quella che suscita il maggiore impatto visivo ed emozionale perché ricerca, sempre, la grandiosità e l’arditezza nel segno dell’armonia: non è solo funzione ma simbolo. A partire dagli “ordini” vitruviani
Ascolta l'articolo...
Scriviamolo a chiare lettere ed entriamo “in medias res”
saltando ogni superfluo preambolo: l’architettura è arte.
Lo comprendo di nuovo e sempre, ogni volta che mi trovo di fronte alla facciata monumentale di una basilica o all'ingresso di un tempio: l'emozione ineffabile di fronte ad un gigantesco sublime.
Sì, è arte, quanto un
dipinto o un’opera plastica.
Oggi la si potrebbe anche definire
un’installazione permanente senza peccare di semplificazione modernista o
peggio, correndo il rischio di cadere nel banale.
Certo, esiste la funzione ed esiste la tecnica, ma tutta
l’arte è funzione e tutta l’arte si serve di tecniche, di strumenti, di
supporti, di manodopera specializzata e così via.
Non vale alcuna obiezione a
ritenere l’architettura una delle forme attraverso le quali l’essere umano
esprime arte.
Naturalmente, così come esistono croste o pessime sculture,
esiste un’architettura dozzinale.
Ma essa rappresenta l’uomo e la sua storia
con la medesima coscienza del sublime che ha ispirato il pittore e lo scultore.
E s’incrocia con il sacro, con quell’invisibile che è l’oggetto di ricerca
primaria dell’artista, con la stessa, a volte struggente, intensità.
Come
accadrà nell’Occidente cristiano che saprà erigere e dedicare i più grandi
edifici al culto tanto quanto le culture politeiste seppero fare attraverso i
loro modelli stilistici.
Tutto prende corpo a partire dai cosiddetti “ordini
architettonici”.
Se si tentasse di attribuire ad essi un riflesso puramente
formale, la risultante sarebbe considerarli un’evoluzione dell’antichissimo
sistema trilitico: due sostegni verticali e una trave orizzontale. Una
considerazione applicabile alla generalità degli ordini.
Estrema sintesi eppure
dotata di un’essenzialità che sconfina nella descrizione puntuale.
Si deve a Vitruvio, massima fonte antica e dall’umanesimo in
poi considerata anche la massima fonte classica, l’indicazione dei fattori
formali degli ordini: fornisce loro una nomenclatura e li organizza in sistemi,
sostanzialmente istituendoli e facendo ad essi riferimento come modello
architettonico d’insuperabile limpidezza ed equilibrio.
Ordine è in greco “Kόσμος”.
Il richiamo è al cielo e alla
struttura del mondo retto da leggi imperscrutabili, meravigliose e tremende,
fonte di salvezza, oppositrici del “Χάος”, l’abisso dell’indeterminato, la
prima matrice del mondo come narrato da Esiodo nella Teogonia:
«Dunque, per primo fu il Chaos, e poi Gaia dall'ampio petto, sede sicura per sempre di tutti gli immortali…».
Ed è tale la fama d’armonia raggiunta che il classicismo
greco acquisisce presso gli antichi, presso il mondo ellenistico e poi quello
romano, presso gli architetti e gli scultori del medio e basso medioevo, presso
le grandi figure del "rinascimento" e per tutta la seguente storia
dell’architettura, fino all’800 che si riscopre “palladiano” alle latitudini
anglosassoni, che le forme degli edifici, in una formulazione “classica”
ideale, non possono essere pensate se non come il fronte di un tempio greco.
Ed è la medesima armonia che ricercherà la pittura quando
scoprirà le geometrie della prospettiva o la scultura del corpo umano.
Potrà apparire banale questa digressione, un incipit dal
vago sapore manierista.
Ma è innegabile che gli ordini architettonici, anche
solo per accezione di termini, abbiano assunto la funzione per antonomasia di
quelle che si possono definire le basi del pensiero architettonico.
E non solo
di quello.
Si tratta tuttavia di comprendere che, all’esigenza
d’inquadrare il tema degli ordini architettonici in uno schema che consideri la
loro portata, debba fare da bilanciamento l'esclusione di ogni retorica
attinente un presunto modello di perfezione ad essi attribuibile, un assunto
che nasce nel contesto della loro applicazione a luoghi di celebrazione della
fede nelle divinità della tradizione culturale antica, nonché sull’analogia tra
la “perfezione” come attributo dell’entità soprannaturale e il luogo, per
antonomasia “non meno che perfetto”, che la rappresenta.
Quindi, negli ordini architettonici la dimensione culturale
diventa fondamento del disegno architettonico, della struttura che lo
definisce, dei rapporti geometrici di cui si compone.
Ed è compito
dell’architettura leggere se stessa come storia di criteri di antropizzazione
dell’ambiente terrestre, come funzione ma anche come simbolo, sapendo
comprendere quanto incida il simbolo e quanto sia determinante la funzione, e
come, infine, tali combinazioni entrino in relazione con il mutamento storico
dei rapporti sociali, economici, politici, ambientali.
Vedremo che è il simbolo ad adattarsi alla funzione e non il
contrario: perché la funzione discende da obblighi costruttivi.
In questa scia, la spiegazione che costituisce il fondamento
degli ordini è di carattere prettamente conservatore, fondato sulla ricerca di
identità immutabili, di segni inconfondibili che si radicalizzano in simbolo e
lo conseguono come forma leggibile ed applicabile imprescindibile
dall’obiettivo originario: costruire la “casa del Dio”.
E allora, il fasciame di legno che è unito in alto da una
stringa di cordame, diventa, nella successiva fase di litizzazione del tempio,
il fusto di una colonna caratterizzata da venti scanalature che quel fasciame
riecheggiano e in alto, poco sotto il capitello, sono “legate” dal collarino.
Il capitello stesso, che si compone di echino ed abaco, è una forma di
stilizzazione delle basi costitutive “a trapezio rovesciato” in legno su cui
era appoggiata l’architrave.
E poi la forma del timpano che è impostata su quella
obbligata del tetto spiovente, e le metope stesse e i triglifi che riverberano
nel disegno dei particolari gli elementi costruttivi del tempio in legno.
Conservare, ripetere una forma rappresenta, dunque, il
riflesso della dell’immutabilità del divino cui l’edificio dedicato si
richiama.
L’eternità del Dio nella sua forma perenne non può che identificarsi
nell’eternità di forma della “casa del Dio” eretta dagli uomini.
In questa scia, le proporzioni riferibili all’ordine
architettonico, più che definirsi per scelta concettuale simbolica, traggono
fonte dalle originarie possibilità strutturali del tempio più antico
realizzato, appunto, con l’uso del legname e con le tecniche afferenti, per
esempio, il gruppo colonnare (fusto e capitello) costituito, come detto –
nell’ipotesi più probabile – da venti fasci di arbusti uniti in una struttura
circolare in elevazione e collegati all’architrave soprastante con la
mediazione strutturale ed uniformante del modulo echino/abaco.
E in questa
scia, il rigonfiamento (entasis) del fusto della colonna dal basso verso
l’alto, ripetuto nel tempio litizzato, non è che l’imitazione dell’effetto
generato dal peso dell’architrave sul gruppo colonnare nell’originario tempio
di legno.
Dunque, le caratteristiche dell’ordine dorico si presentano come
riproposizione di una forma “sacra” definita dalla visione della struttura
lignea che la precede.
Ecco, esattamente nell’imitazione del modello originario,
divenuto identità formale della perfezione, nasce la fisionomia del tempio
greco e dei suoi ordini principali, il dorico (di area occidentale) e quello ionico (di matrice orientale), cronologicamente coetanei, espressione di un
rapporto stretto con la natura e con gli elementi che la natura ha
primariamente posto a disposizione degli uomini per costruire la casa che ospita la presenza trascendente.
Le differenze tra i due ordini possono apparire non
particolarmente rilevanti in questo contesto, essendo identica la matrice.
Si
compongono entrambi di una crepidine di base, di uno stilobate di appoggio,
senza base per l’ordine dorico, con il plinto e la base nell’ordine ionico, con
il fregio distinto in metope e triglifi inseriti in una trabeazione più
imponente nell’ordine dorico, con una linea di fregio continua in quello
ionico, più leggero e slanciato del primo.
Infatti, quello ionico è un ordine
che si sviluppa in altezza più del primo favorito da una differente consistenza
della pietra utilizzata, ma soprattutto, entrambi, sono diversi perché
appartenenti a materiali e tecniche in origine destinate a possedere varianti
naturali che restano intrise nella successiva tradizione del tempio litizzato.
La ricerca di perfezione, intangibile per quanto emerso
nella breve ricostruzione dell’origine fatta fin qui, impone soluzioni al
cosiddetto conflitto angolare che nel dorico determina soluzioni nella scelta
della posizione ed ampiezza di triglifo e metopa d’angolo mentre, dal versante
dello Ionico impone una diversa conformazione del capitello d’angolo.
Qui
sovviene come opportuno integrare la descrizione sommaria con il riferimento
più significativo che nella trattazione diventa scontato: la variante
principale è proprio il capitello, essenziale nella sua funzionalità nel
dorico, scolpito a due volute simmetriche ed opposte in quello Ionico.
Ma non perdiamo di vista l’elemento essenziale, come se
fosse un sillogismo aristotelico: la natura è ordine; la natura è costituita di
materia; la materia è ordine.
Dunque, l’originario fasciame di legno che
rappresentò la prima colonna e i suoi collegamenti con il sistema orizzontale,
costituiscono il segno inequivocabile di un principio che non può essere eluso:
una forma perenne, il “prōtótypos” dal quale discendono le copie.
Un concetto
molto importante per l’arte di ogni tempo.
Un concetto filosofico e quindi
scientifico, nell’identificazione antica tra filosofia e scienza, che
accompagna una scelta imprescindibile tutt’ora vissuta come chiaro segno di
distinzione, d’identità ormai simbolica, di forma per un contenuto.
Ecco
spiegata la relazione tra gli ordini architettonici e il sacro, il potere,
l’autorità e, ovviamente, l’espressione artistica.
La trattazione, fin qui piuttosto stringata, non tiene conto
di molti altri aspetti tra i quali: l’evoluzione dei due ordini nel senso di un
avvicinamento del più greve e massiccio ordine dorico al più slanciato ordine ionico; ma anche la loro convivenza culturale come nel caso del Partenone;
ovvero la loro strutturazione modificata in funzione della tipologia di tempio
e delle aree d’influenza greca nelle colonie della Magna Graecia, dalle quali
prendono corpo nuove ibridazioni oltre che la capriata e il tetto litizzato,
rivoluzioni molto significative nel contesto antico.
E non si può fare a meno di un cenno a quello che fino ad
alcuni anni fa non era indicato come un terzo ordine ma solo come un’evoluzione
di quello ionico: l’ordine corinzio.
In realtà, esso è inizialmente costituito
da una variante del capitello ionico attraverso la sua trasformazione in
imitazione delle foglie d’acanto, con un riferimento più intenso alla verità
naturale.
Non è una questione secondaria o semplicemente un aspetto decorativo
più ricercato: rimane sempre, sullo sfondo, il richiamo alla natura, qualcosa
che ci permette di paragonare una fila ordinata di grandi alberi rigogliosi al
colonnato di un tempio.
L’origine dell’idea, di quel che è visto e imitato,
riemerge sempre.
Poi, è vero, viene identificato in età augustea in un ordine
completo delle sue nove linee come quello ionico - otto invece in quello dorico: le linee sono le sezioni che indicano, dal basso in alto, gli elementi
costituenti gli ordini medesimi.
In questo senso assume un’ulteriore simbologia
che riverbera nell’esibizione del potere, nella funzionalità rispetto alla
politica.
Modelli tecnici, dunque.
Non si poteva che parlare di
tecnica.
Ma come si è già fatto cenno all’inizio, l’arte è una “tecnica”.
Non
per questo, nella sua espressività, perde qualcosa dell’anelito più profondo
dell’àntropos, del richiamo sacrale, dell’arditezza creativa, della simbologia
unificante che rese, nella scia degli ordini architettonici, il tempio e
l’antica basilica, la chiesa romanica e la cattedrale gotica, centri vitali e
imprescindibili della civĭtas mediterranea e occidentale.
Non perde nulla
perché oltre la tecnica sono i principi originari e la coscienza culturale
dell’uomo a emergere, sempre: nulla sarebbe spiegabile se non esistesse questa
verità profonda che spesso viene dimenticata.
Sotto ogni colonna esiste una radice invisibile.
Copyright © Gianpiero Menniti All rights reserved