Le favole dell'anima

Maria Casalanguida è una donna mite, dolcissima, sensibile. Sovviene immaginarne la figura immersa nella fantasmagoria di luci della sua campagna in quel di Nettuno, tra i silenzi di una natura che accenna voci, come in una favola di Derain o in un sogno di Matisse. Sì, perché è il colore a suggerire il fascino che promana dalle tele di quest'artista solitaria e riflessiva, epigone espressiva di una misteriosa geometria, dimensione antropologica che si perde nelle origini del tempo.

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Mi capitò, una volta, di confrontarmi con un archeologo sul significato della decorazione geometrica che orna le antiche ceramiche. Con un cenno non casuale alle pareti della "Casa dei Grifi", sul colle Palatino, a Roma. 
La domanda sul significato, il punto cruciale della discussione, non trovò un riscontro se non vago, elusivo, lacunoso.
Narrare attraverso raffigurazioni mimetiche trova corrispondenza con le immagini del mito, con la rappresentazione di scene ispirate al reale. 
E così, emerge il significato.
Ma il valore semantico del tratto geometrico non è indagato, è riscontrato limitatamente alle finalità di classificazione.
L'archeologo sorride.
Eppure, la domanda rimane.


Osservando le tele di Maria Casalanguida, il mistero è riemerso, come in un appuntamento a sorpresa: il vago vincola in un pensiero costante, è come una sfida per l'intelletto alla quale la memoria fa da rintocco, implacabile.
Qual'è la porta da attraversare?
Davvero occorre ricercare riferimenti significativi?
Oppure si tratta di un segno che possiede nel significante ogni possibile referente?
Le domande si susseguono.


Una lunga riflessione, interrotta e poi ripresa più volte negli anni, frammentaria e mai conclusiva, mi ha spinto a ritenere il disegno geometrico, anche nella scia di innumerevoli espressioni artistiche, non solo contemporanee, qualcosa che rispecchi il mondo da un altro punto di visione: quella che solleva il "Velo di Maya" dell'apparenza e mostra il volto reale dell'essente.
Se il pensiero geometrico è la chiave interpretativa del reale, il salto all'indietro è un tuffo folle nel baratro dell'ineffabile.
Forse soccorre la filosofia platonica. Certamente, l'unica in grado di suggerire, per prima, i nessi tra un'innata dimensione ideale e l'osservazione del reale.
Oltre l'esoterismo pitagorico.
In un volo pindarico che avverte l'eco di Paul Cézanne e la filosofia di Merleau-Ponty, fino a toccare i contemporanei Robert Delaunay e Piet Mondrian.


Questi riferimenti a un passato lontanissimo e a un presente remoto, aiutano a capire l'espressione creativa di Maria Casalanguida?
No.
Non ne ha bisogno.
L'artista romana trova in sé ogni elemento sufficiente all'impulso ispiratore. 
Però aiutano a comprendere quell'innato che ci appartiene.
Ma con il quale solo alcune sensibilità, come la sua, possono dialogare. 
Allora, quei riferimenti mostrano di possedere una sola qualità: indicano la complessa natura ancestrale dell'anti-realismo, una natura talmente connaturata al pensiero da esserne linguaggio autentico, profondamente descrittivo dell'esserci umano.


Lo comprese molto bene Miroslava Hajek, celebre storica e critico d’arte di caratura internazionale la quale, a proposito di Maria Casalanguida, così si espresse in un'illuminante presentazione: "... L’artista ricerca nel suo lavoro un’anima geometrica coerente, capace di modellare un ampliamento della rilevanza mentale e di rendere esplicita la nozione di pensiero visivo come struttura pluridimensionale."
Dunque, a cosa varrebbe l'insorgere dell'horror vacui come mera giustificazione?
L'atto espressivo della mente "è".
E non può non essere che un geometrico apparire di punti e di linee, di connessioni angolari, di piani e di solidi.
E' la forma, la grammatica, la sintassi, nascosta e dimenticata, del pensare.
Ma nella luce. 
La luce dei colori.
I colori come segno del reale dei sensi entro l'apparire della traccia originaria, esatta, della mente.
Così, quella luce che gli occhi vedono, circondata dalla necessaria armonia di un suono ritmico, sulle tele di Maria Casalanguida diventa vivida descrizione impressionista di uno sguardo che riemerge dagli anfratti nascosti dell'anima.
Abbraccia i sensi e li connette a un'ideale sentimento razionale, laddove l'ingannevole freddezza del tratto netto si scioglie nel calore dell'atmosfera iridescente.


Quei riflessi sono un "eterno divenire" rivelatore dell'umano nel mondo.
Non si tratta di un richiamo al "trascendente", ma a quanto sommuove lo spirito del "vivente".
Poiché la sintassi della coscienza può tradursi nella traccia di una favola che canti la delizia della sensazione, appello a vivere accompagnandosi alla purezza dell'esserci, dell'originario, dell'autentico.
Una sintassi che Maria Casalanguida riveste di parole lievi, di una grafia leggera, di un verso delicato, di una luce intensa, rispecchiando nei suoi dipinti la genuinità dei sentimenti che la distinguono.
E ne fanno un'artista vera.


Se esiste un valore artistico codificabile, ebbene, questo appartiene alla verità della percezione: come ho già scritto in un'altra occasione, "l'arte è l'atto più sincero di un essere umano".
In questa scia, anche la forza vitale della luce fonda la ricerca tecnica di quest'artista sublime, ricerca che non a caso si condensa nell'uso sapiente del colore acrilico, come già fece notare il maestro, pittore e fine intellettuale, Francesco Del Drago, osservando rapito le opere di Maria Casalanguida: "... Non dipinge per lei, per il mercato o per il denaro, ma per l’umanità, con il desiderio di eternarsi in opere durature. E per questo ha scelto l’acrilico... un polimerico trasparente, stabile, sicurissimo...".


E' proprio vero, una mistura cromatica "eterna" quanto il significato che intende trasmettere: l'espressione della mente è un sogno perenne ad occhi spalancati sul mondo.
Che non subisce la sconfitta del tempo.
Come favole dell'anima.
Sovvengono i versi di Ezra Pound:
«Ama il tuo sogno
ogni inferiore amore disprezzando,
ama il vento
ed accorgiti qui
che solo i sogni possono esistere veramente,
perciò in sogno a raggiungerti m’avvio
».


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