La vertigine degli Uffizi
A Firenze, tappa immancabile, tra le decine di appuntamenti immancabili, gli Uffizi inghiottono il visitatore conducendolo al cospetto di una collezione immensa, per quantità e valore, fino a disorientarlo. Un vortice di immagini, forme, figure, luci e ombre, stanze e corridoi ricolmi di persone: non è solo l'arte a colpire, ma una variegata umanità in estasi colta nella frazione irripetibile di un tempo comune.
Recarsi a Firenze senza visitare gli Uffizi è come bestemmiare ad alta voce in un luogo sacro.
Semplicemente, non si può fare.
Se si fa, anche con la miglior causa e ogni giustificazione, un cupo senso di colpa prende l'animo dell'incauto.
In apparenza si tratta di "vedere" dal vivo opere transitate su migliaia di pagine della più varia natura e scopo, pagine ricolme di nomi ammessi alla perenne storia dell'arte: da Piero della Francesca a Botticelli, da Leonardo a Tiziano, da Paolo Uccello a Filippo Lippi, da Agnolo Gaddi a Gentile da Fabriano, dal Beato Angelico a Masaccio, da Domenico Veneziano ad Andrea Mantegna, dal Ghirlandaio al Perugino, da Giovanni Bellini a Michelangelo, dal Parmigianino al Veronese, da Raffaello ad Andrea del Sarto, da Rosso Fiorentino al Pontormo, dal Bronzino al Correggio, da Sebastiano del Piombo a Paolo Veronese, dal Tintoretto al Vasari, da El Greco a Rubens, da Velazquez ad Annibale Carracci, da Caravaggio a Guido Reni, dal Canaletto a Giambattista Tiepolo.
Solo per citare quelli che ricordo al momento.
Già, perché tra dipinti celeberrimi e sculture tra le più note al mondo, si viene colti da un senso di vertigine ansiosa, tale da non sapere, dopo pochi minuti, da quale parte cominciare e quanto soffermarsi, se sia opportuno seguire la folla che si accalca o ritagliarsi uno spazio di fronte ad opere meno conosciute ai più, se decidere di rimanere in estasi contemplativa o lasciarsi coinvolgere dall'attitudine riflessiva, creare collegamenti storici e concettuali oppure dedicarsi alla percezione della tecnica.
In realtà, si sperimenta un insieme che lascia il senso dell'incompiuto.
Ma non basta.
Intorno pullula un'umanità fatta di mille volti e di altrettante emozioni che traspaiono libere d'interporsi, di correlarsi, d'influenzarsi in un'atmosfera goliardicamente composta, fatta di sorrisi coinvolgenti, di sguardi rapiti, di voci stridenti, mentre qualche giovane artista ritrae a carboncino il volto o l'intero corpo sinuoso della "Venere de' Medici" o di "Ermafrodito dormiente", di una delle "Niobidi" o di qualcuna delle tante teste di "Satiro" e ancora di un ritratto greco oppure romano.
Così, ci si accorge di quanto il Museo possa riservare continue sorprese e di quanto gli Uffizi nascondano in ogni angolo un avvenimento, un'immagine, una forma, in paziente attesa di uno sguardo o del suono di una voce in contrasto con il silenzio assordante che emanano.
I corridoi ospitano figure in marmo che presidiano l'ingresso di ogni sala, essi stessi protagonisti attivi di quel che annunciano: un fastello sempre più grande di aspettative nascoste pronte ad accogliere flussi frenetici e solitarie lentezze.
Il museo è come una festa, come un mondo sospeso, come una favola che ha fattezze reali.
Per quante volte, in un'esistenza, ci si potrà trovare qui?
Rimarrà una presenza irripetibile o solo la prima di ripetute tappe?
Ingozzarsi di luce o affidarsi a quanto il tempo concederà, lasciando l'amarezza di incontri mancati?
Tanto.
Tanto c'è da vedere.
Si avverte la percezione di una presenza sconfinata di incomparabili pezzi d'arte.
Sono lì, a due passi l'uno dall'altro.
Ma quale "tradire" per passare al successivo?
E la vista fugace, che corre di qua e di là, diventa la più fragile delle illusioni: bulimia incapace di rendere l'effetto dei sapori.
Troppo.
Non si può semplicemente vagare.
Occorre imporsi una scelta.
E con questa, coltivare una speranza fortissima: la possibilità di ritornare, più e più volte.
Eppure, posso affermarlo: ogni volta è una nuova vertigine.
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