Donald Trump come La Grande y Felicisima Armada del 1588


Ormai sembra fatta: Donald Trump è riuscito a compromettere la sua elezione per il secondo mandato a presidente degli Stati Uniti

La sua conferma era data per scontata all'inizio dell'anno, sulla scia di un'economia galoppante e di un forte arretramento della disoccupazione. I democratici, con i loro leader schierati per le primarie, apparivano deboli, disorientati, privi di una strategia che non fosse una critica generica rivolta quotidianamente all'inquilino della Casa Bianca. 

Solamente pochi mesi fa...

Tutto, dunque, lasciava presupporre un esito favorevole per il candidato "atipico" del partito repubblicano che aveva saputo guadagnare consensi tra un elettorato conservatore sempre più incattivito dagli anni della crisi e proiettato sulla figura di un presidente "pratico" e poco disposto a privilegiare lo stile rispetto alla sostanza dei provvedimenti. E a perdonare gli eccessi di un debordante narcisismo, le critiche sulla sua condotta personale, lo scarso appeal con le istituzioni democratiche. In nome di una soluzione per un'economia appesantita dalla burocrazia e dalla globalizzazione, dalla crisi iniziata nel decennio precedente e dalla transizione verso il mondo digitale, transizione mal digerita dalle generazioni meno dinamiche dei 40enni e dei 50enni, spaventati dalla loro incompetenza in un'epoca di svolta tecnologica.

Trump sembrava fare da ombrello protettivo ad un'America impaurita dalla crisi di passaggio, poco avvezza all'idea di uno Stato dirigista, ancorata a un liberismo di principio e critica verso ogni intervento sociale che incida sulla finanza pubblica. Trump era riuscito a creare una bozza d'identità per quest'elettorato, arricchendola con plateali ammiccamenti alla destra estrema ed ai movimenti religiosi radicali, alimentando la cultura "razzista", omofoba e intollerante che non è mai tramontata negli Stati Uniti.

Intendiamoci: Trump non è l'inventore di un'idea politica ma solo il portatore di istanze congeniali alla sua strategia del consenso e al brand di uomo schietto, pratico e dissacrante, che tanto piace a quell'elettorato mentre non è di certo apprezzabile tra gli americani di "sinistra".

E allora, cosa è accaduto?

La pandemia da Covid-19

All'inizio, l'attuale presidente sembrava aver preso il toro per le corna: stanziamenti immediati per oltre 2000 miliardi di dollari per sostenere l'economia e un atteggiamento tendente a minimizzare il dramma, a circoscriverlo cinicamente orientando gli americani a tenere la barra sugli affari.

Errore di valutazione. Anzi, errore di sottovalutazione della portata della pandemia.

Con il suo modo tranchant di affrontare la questione, s'è imbarcato in una gaffe dietro l'altra, perdendo le stimmate del "comandante in capo", riducendo la sua base di consenso continuamente erosa dallo iato tra i suoi interventi pubblici e sui social e gli avvenimenti quotidiani. Non ha compreso che non si trattava di mettersi alla testa di una fazione scegliendo quella negazionista e spavalda che rivendica la sacralità delle libertà individuali e d'impresa, ma di condurre con prudenza l'azione governativa, assecondando alcune misure sanitarie drastiche e, nello stesso tempo, riequilibrarle con moderazione sul lato dei diritti tanto invocati dal suo elettorato. Infine, indirizzando il suo consueto decisionismo verso la riorganizzazione, in emergenza, della macchina statale.

Nel frattempo, l'economia ha cominciato a scivolare e le oscillazioni della Casa Bianca hanno mostrato l'inconsistenza di una credibile strategia di uscita dalla crisi. I decessi incidono sulla coscienza degli elettori senza distinzioni tra fazioni politiche. L'autonomia degli stati federati, tema politico molto serio negli USA, ha minato l'idea stessa che il presidente potesse compiere un'opera di coordinamento. E men che meno potesse svolgere un'azione di "moral suasion": è il limite di chi sposa una maschera e poi non riesce più a levarsela.

L'elettorato di Trump e il cambio di passo

Così, promotore ed artefice di confusione, Trump ha cominciato a battere il testo più radicale, facendosi da preda a inseguitore, accendendo gli animi più reazionari sulla questione della violenza delle forze di polizia e sui conflitti razziali esplosi nel Paese e infine nominando un nuovo giudice della Corte Suprema scegliendo una giurista di sicura fede conservatrice da innalzare come trofeo simbolico della sua politica di destra.

Ora, al di là dei sondaggi che danno Joe Biden largamente avanti di almeno dieci punti, la questione è: quanto è vasto l'elettorato potenzialmente vicino alle posizioni di Trump?


Già durante le presidenziali del 2016 la maggior parte degli osservatori dava Hillary Clinton presidente. Personalmente, e non per specifiche simpatie o antipatie, scrissi una serie di articoli che ponevano in pregiudizio quelle certezze. Esposi le mie ragioni basate su un'analisi empirica dell'opinione pubblica e di quanto fosse sentita l'esigenza di un mutamento incisivo delle politiche economiche. E soprattutto, mi resi conto che alcuni temi "not politically correct" non erano contemplati nei sondaggi per l'evidente ragione che non si potessero sollevare questioni come il suprematismo razziale o altre politicamente intransigenti ed estremiste. 

Eppure, queste posizioni esistono e strisciano nelle viscere dell'elettorato americano. E sono questi atteggiamenti che hanno condotto Trump fino alla presidenza, inaspettatamente per alcuni.

Ho memoria di critiche e dileggi collezionati in conversazioni tra colleghi esperti di comunicazione su alcune pagine social dedicate alla politica: in sostanza, mi si dava per matto ed eccentrico, se andava bene.

Naturalmente, non sempre quello che si desidera riconoscere in una società vissuta come perfetta, si realizza: i colleghi non riuscivano a concepire che potessero esserci moltitudini di elettori americani orientati a cassare la Clinton per Trump. E questo li ha resi poco professionali nell'analisi e relativa comunicazione.

Quindi, tornando alla domanda su quanto sia vasto l'elettorato potenziale di Trump, la mia risposta rimane identica a quella di quattro anni fa: è molto più ampio e variegato di quel che si pensa o si possa cogliere attraverso sondaggi e analisi statistiche. 

Ma le elezioni non sono determinate da immutabili schieramenti di campo 

Al netto degli errori commessi dall'attuale presidente, si è accesa una forte mobilitazione nell'elettorato democratico, mobilitazione e sensibilità che potrebbe far crescere di molto la percentuale dei votanti e favorire un tale incremento da superare la soglia oltre la quale il consenso per Trump si arresta.

Un atteggiamento astensionista potrebbe favorire Trump. La partecipazione imponente potrebbe issare Biden alla Casa Bianca. Tra le due possibilità, entrambe concrete, si gioca anche la temuta vittoria di misura che aprirebbe il baratro del ri-conteggio, scenario dalle conseguenze davvero imprevedibili. 

La partita per le presidenziali si è quindi asciugata intorno a due strategie di comunicazione molto nette: Trump si spinge sempre più avanti nelle dichiarazioni e negli atteggiamenti spavaldi, come un toro scatenato; Biden adotta una linea prudente, attendista, misurata, volta a mantenere il vantaggio presuntivamente accumulato. I due dibattiti tra i candidati si sono rivelati utili più a quest'ultimo che all'istrionico tycoon di New York.

E poi, va aggiunto che all'establishment repubblicano moderato, la sconfitta di Trump andrebbe più che bene. 

Tuttavia, resta l'incognita legata alla percentuale dei votanti: con questa strategia, Biden riuscirà a galvanizzare i democratici e l'elettorato tradizionalmente portato ad astenersi?

E' molto difficile rispondere. 

Se non con una sensazione: che per Trump il destino riservi la stessa sorte che capitò all'invincibile armata spagnola nel 1588, quando una forza navale imponente e sfrontata si apprestava ad invadere l'Inghilterra di Elisabetta I, presunta regina debole e irresoluta. 

Lo sanno tutti. Finì malissimo. 

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