Il re di pietra

L’architettura non è mai un’espressione casuale. Possiede un significato, interpreta un modello oppure lo crea. E rimane come traccia perenne, come richiamo continuo di un’idea che il tempo nasconde, come reazione all’inevitabile oblio. Per questa ragione, quando si osserva un monumento architettonico del passato occorre interrogarsi sulla ragione di quelle linee, della materia utilizzata, delle grandezze che lo compongono, del luogo prescelto. E dell’umanesimo silenzioso che lo abita.

Il “Liber Augustalis”, meglio conosciuto come le “Costituzioni di Melfi”, volute da Federico II, re di Sicilia e Imperatore del Sacro Romano Impero nei primi anni del XIII secolo e fino alla morte avvenuta nel 1250, contemplano l’istituto giuridico della “defensa”.
L’introduzione di questo elemento normativo aveva uno scopo molto originale ed innovativo: coloro che avessero invocato il nome del re mentre stavano subendo un’aggressione, avrebbero ottenuto per i violenti una giustizia molto più severa e cruenta poiché il reato sarebbe stato compiuto, simbolicamente e per effetto dell’invocazione, contro la figura sacra del re difensore del popolo.
L’atto giuridico è sempre il riflesso del sorgere di un’esigenza culturalmente sentita o imposta per imperio politico. 
Così, negli anni di regno di Federico II, in continuità con la tradizione amministrativa normanna che egli aveva ereditato (esiste una querelle sull’effettivo spirito innovativo di Federico, ritenuto da alcuni storici il continuatore di un’intuizione dovuta ai sovrani normanni ed in particolare a Ruggero II), l’affermazione del potere regio transita anche da certa architettura: il castello è il “Re di pietra”, si potrebbe dire, l’immagine di valenza retorica imponente del ruolo immanente del sovrano in grado di estendere la propria presenza sul territorio del regno con quelle che variamente assumono la controversa funzione di residenze di caccia, osservatorio astronomico o altro ancora ma che sono, sostanzialmente, costruzioni militari difensive e di controllo.


Per Castel del Monte la questione rimane aperta, non esiste una precisa caratterizzazione della struttura e non c’è una datazione certa: intorno al 1240 circa potrebbe essere stato avviato il cantiere ovvero realizzata parte dell’edificio.
Ma il senso del suo apparire come un’astronave antica sulla sommità di una collina dalla quale domina l’alta Murgia, in Puglia, in quella che era ed è una frazione del Comune di Andria, è legato al concetto di potestà reale.


Siamo in un’epoca nella quale le monarchie europee da tempo hanno avviato e in parte realizzato un recupero di sovranità rispetto ai poteri localistici signorili la cui rilevanza e diffusività, tuttavia, permane come tratto culturale afferente la difesa, l’esercizio delle armi, antico retaggio delle scorrerie dei secoli IX e X. 
Questa rappresentazione del potere attraverso la forza militare e la protezione dei re legislatori, offre contenuti di certezza nuovi, in linea con lo sviluppo di ceti proto-borghesi che si affermano dovunque nell’Europa cristiana e in coincidenza con la fase matura delle autonomie comunali italiane.
L’esigenza di garantire alla monarchia la prevalenza degli istituti giuridici e politici è quindi molto sentita da un sovrano come Federico II che, non a caso, impone ai comuni del regno meridionale la soggezione al potere reale impedendo (sempre nella tradizione normanna) forme di autonomia locale e comunale attraverso una gerarchica ed efficiente struttura burocratica: in essa si può riconoscere una personalità statale ante-litteram, con un rilievo etico della funzione che pone la monarchia in un contesto di assolutismo illuminato.
Ci troviamo all'estremo opposto del modello "comunale": queste convivenze rendono la penisola italica ribollente crogiolo di culture politiche alternative e dinamiche, ricche di contrasti vitali ed esigenti, autentiche fonti di una storia complessa e affascinante.
Il castello reale è, dunque, il segno tangibile, evidente, imponente, di un dominio inoppugnabile.


La pianta ottagonale di Castel del Monte riflette in particolare questa primazia: cinquantasei metri è il diametro complessivo; oltre dieci metri la lunghezza di ognuno degli otto lati intervallati dalle otto torri anch’esse ottagonali del diametro di quasi otto metri ciascuna; di circa diciotto metri il diametro dell’ottagono interno che costituisce il cortile del castello.
Il tutto proiettato in elevazione fino ai quasi venticinque metri delle torri ed agli oltre venti metri delle pareti perimetrali.
Un po’ troppo per una residenza di caccia o qualunque altra cosa che non sia essenzialmente una fortificazione militare connotata politicamente.
Un’architettura di forte impronta geometrica, una severità del tratto stilistico capace di renderla originale. 
Ma che, secondo diverse interpretazioni, non sfugge a influenze classiche romane, ai contenuti concettuali asciutti e funzionali dell’architettura cistercense, a suggestioni mediorientali assorbite durante la VI crociata tra il 1227 ed il 1229. 
Certamente, il complesso e funzionale sistema idraulico interno è di concezione araba.
Qualche cenno tra il romanico ed il gotico s’insinua nel disegno del portale principale d’ingresso e delle finestre sulle facciate, oltre che nelle coperture ad archi costolonati delle volte a crociera.
Simbolismi di carattere astronomico?
Forse evidenti.
Forse solo possibili, per la vasta eco connessa al ruolo e alle attività di Federico II e della sua corte, nell’alveo ampio e affascinante di contenuti leggendari, sorti in un’età prestata a riflessi simbolici metafisici, effetto di una miope ricerca di significati ben lontana dalla consapevolezza nichilista moderna.
Che ripiana le pur robuste escrescenze medievali.

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