L'apparizione dell'anima
Con Willem De Kooning l’impulso creativo esplode affondando le radici in un sentimento profondo, che distrugge l’immagine e la trasfigura in un grido soffocato. Ma non si tratta dell'immagine esteriore: è l'apparire dei tumulti dell'animo. E' l’animo furente dell’espressionismo astratto nella New York degli anni ‘50. Per un'interpretazione adeguata, l'emozione di quella 'ferocia' occorre percepirla, capirla e farsi guidare.
Sorride.Ma è un sorriso imposto.
Ad occhi sgranati, parla, per un’estrema invocazione di aiuto, con un’espressione di smarrimento che sfocia in orrore incombente.
La figura è come imprigionata in una condizione che non le appartiene, una dimensione nella quale l’esibizione del seno prosperoso, simbolo di vita e di prorompente erotismo, è volgarizzata dalle strette cinture che avvolgendolo ne brutalizzano la forma e, nello stesso tempo, rimarcano l’attributo del possesso ormai ceduto a una forza oscura.
E’ una donna dolente questa rappresentata da De Kooning - grande interprete dell’Espressionismo Astratto americano - trattenuta in uno stato di schiavitù da una forza mostruosa e tentacolare che la circonda e l’avvolge in una melassa vischiosa capace di deformarne le fattezze, di consumarne ogni parte ad eccezione dell’unico attributo fisico degno di essere esposto.
E’ una donna dolente questa rappresentata da De Kooning - grande interprete dell’Espressionismo Astratto americano - trattenuta in uno stato di schiavitù da una forza mostruosa e tentacolare che la circonda e l’avvolge in una melassa vischiosa capace di deformarne le fattezze, di consumarne ogni parte ad eccezione dell’unico attributo fisico degno di essere esposto.
Come in una vetrina.
Nella visione esteriore, potrà avere l’aspetto di una modella, di una donna attraente, affascinante o di una donna in atteggiamento licenzioso, dissacrante e coinvolgente.
Ma nell’essenza del suo essere, l’occhio profondo dell’artista ne disvela la triste condizione attraverso un crescente senso di commovente pietà per un’anima desolata nell’abbandono, rassegnata a un destino tragico, eppure ancora capace di un sussulto, di un anelito di vita interiore.
Sembra voler parlare con gli occhi: "salvami, aiutami, liberami!"
Sembra voler parlare con gli occhi: "salvami, aiutami, liberami!"
Vive un incubo senza fine, inerme anche solo per disperarsi o gridare, come accade a chi sia preda della magia onirica che scatena il subcosciente.
Prigioniera del suo stesso corpo, oscilla tra il terrore di soccombere e la rassegnazione di fronte all’inevitabile.
Il corpo, lentamente e inesorabilmente, cade nel disfacimento.
I capelli, neri, ormai resistono a ciocche ai lati del cranio nudo, come strappati via.
Le braccia ossute sono ormai appendici stanche.
Una gamba, quella sinistra, s’intravede appena.
E' seduta: quindi in una condizione d’immobilità anche formale.
La violenza che la circonda e la opprime è informe, senz’anima, alienata e alienante, tende ad assorbire ogni forma di vita inglobandola in un “astratto furore” – per citare la profetica immagine evocata dal Vittorini di “Conversazione in Sicilia” - che travolge e occupa la scena con saette di luce divoratrici del colore, divoratrici della vita ridotta al grigio, contrastante pallore della figura.
Forse c’è anche la vecchiaia: l’immagine della caducità con il suo triste bagaglio di disfacimento, angustia, morte.
La vecchiaia può ben rappresentare la figura mostruosa che divora la vita.
Un braccio, quello sinistro, sembra scomparire tra le gambe divaricate: un gesto di solitario piacere e di brutale abiezione esibizionista, che simboleggia la solitudine nella lenta agonia di un subito stato di cattività.
Un braccio, quello sinistro, sembra scomparire tra le gambe divaricate: un gesto di solitario piacere e di brutale abiezione esibizionista, che simboleggia la solitudine nella lenta agonia di un subito stato di cattività.
E’ un gesto che integra l’iconografia e non modifica, semmai accentua, l’iconologia: l’esibizione sfrontata del corpo, della carnalità, dell’intimità violata, è un estremo gesto di protesta che suona come l’invocazione del bestemmiatore.
Questa ipotesi, che emerge dalla visione diretta ed emozionale del dipinto, peraltro collima con la tendenza sarcastica e l’ossessione per il sesso di De Kooning nella sua irrisolta dicotomia tra astrazione e figurazione, anche se quest’ultima è ritenuta da Claudio Zambianchi - in Arte contemporanea: dall’espressionismo astratto alla pop art - la cifra autentica ed originale della sua espressione artistica.
Questa ipotesi, che emerge dalla visione diretta ed emozionale del dipinto, peraltro collima con la tendenza sarcastica e l’ossessione per il sesso di De Kooning nella sua irrisolta dicotomia tra astrazione e figurazione, anche se quest’ultima è ritenuta da Claudio Zambianchi - in Arte contemporanea: dall’espressionismo astratto alla pop art - la cifra autentica ed originale della sua espressione artistica.
Un'altra ipotesi, in letteratura critica, fa riferimento alla figura arcigna della madre del pittore.
Tuttavia, seguendo una linea d'interpretazione "patografica", si rischia di togliere all'opera il suo valore di singolarità, di evento in possesso di un inconscio, forse irraggiungibile e per questo alieno a un significato inequivocabile.
La lettura di un testo pittorico deve scontare quest'apparizione silenziosa come di un atto che muti profondamente la scena stessa che se ne fa ospite, influenzando potentemente l'osservatore: questi, non legge ma è letto dal testo pittorico, come insieme stratificato di esperienze che lo trapassano sollecitando un processo estetico soggettivo.
Nella misura in cui la soggettività è il riflesso variegato di un'acquisizione culturale collettiva.
Questo modello di approccio, appartiene all'autore come al fruitore contemporaneo: entrambi appartengono a un'epoca.
E dopo?
Dopo, la sensibilità superiore dell'artista finisce per collimare con il futuro: l'arte anticipa quel che avverrà, si trova a proprio agio con il mondo dei posteri.
La ragione?
L'emozione.
Chiave di lettura del contemporaneo come del futuro.
Anche l'esigenza più razionale della forma e del significato, pagano dazio all'emozione.
E' per questa ragione che quanto apparteneva al quotidiano di un passato remotissimo, diviene nel presente scintilla di un sentimento: il privilegio di "risentire", quasi di annusare, il mondo che fu.
Quando l'approccio emotivo avrà scavato nell'animo dell'osservatore e quando, questi, si sarà aperto all'influenza della meditazione affettiva, solo allora potrà lasciarsi incuriosire da ricerche laterali.
E' quello che si potrebbe definire apporto eterodosso rispetto al dialogo tra osservatore e opera.
Dunque, rimanendo al caso in esame, non verrà male aggiungere qualche ulteriore ausilio di orientamento.
Se l’immagine è quella di una donna che mette in mostra la sua deformazione fisica come espressione della propria condizione mentale, non si può non interpretare questa trasformazione nella scia della brutale condizione cui è sottoposta la donna nel suo ruolo d’icona del materialismo e dell’impulso consumistico che, nei primi anni cinquanta del XX secolo, prende corpo con l’avvento della c.d. “età dell’oro”, epoca che segnerà l’impetuoso sviluppo del modello fordista, specie nella società americana.
Esiste, poi, una storia del quadro, tratta sempre dal già citato testo di Zambianchi, che narra di un “sorriso ritagliato dalla reclame di un rotocalco” intorno al quale De Kooning dipinge in “modo sempre più indiavolato”, trasfigurandolo in un’immagine “grottesca e parodistica”.
La curiosità per un accostamento comparativo, conduce verso la ricerca delle altre “woman” dipinte dallo stesso autore.
Esiste, poi, una storia del quadro, tratta sempre dal già citato testo di Zambianchi, che narra di un “sorriso ritagliato dalla reclame di un rotocalco” intorno al quale De Kooning dipinge in “modo sempre più indiavolato”, trasfigurandolo in un’immagine “grottesca e parodistica”.
La curiosità per un accostamento comparativo, conduce verso la ricerca delle altre “woman” dipinte dallo stesso autore.
In queste, la componente grottesca è più evidente e la furia delle pennellate lascia tuttavia trasparire maggiori dettagli della figura che ne stemperano l’impatto emotivo rispetto alla “Woman I” fin qui trattata, dipinto datato 1952 e conservato al MoMA di New York.
Una realtà contro la quale si scaglia animato dall'esigenza di far cogliere il lato mostruoso, dicotomico all’apparente, vuota e alienante messa in scena di stampo borghese e materialistico.
Le pennellate “furenti”, in un contesto che ha un suo evidente tratto narrativo di stampo espressionistico, lasciano cogliere la forza del gesto creativo, tratto caratteristico dell’arte "informale" della quale New York fu il crogiuolo e nel quale De Kooning fu un indiscusso protagonista e sensibilissimo interprete.
Le pennellate “furenti”, in un contesto che ha un suo evidente tratto narrativo di stampo espressionistico, lasciano cogliere la forza del gesto creativo, tratto caratteristico dell’arte "informale" della quale New York fu il crogiuolo e nel quale De Kooning fu un indiscusso protagonista e sensibilissimo interprete.
La sua poetica, il suo difficile, drammatico rapporto con l’afflato creativo, a mio parere trova un significativo riscontro nella sua “Woman I” attraverso la quale sembra riecheggiare una sintomatica frase dell’autore pronunciata nel 1960 durante un’intervista radiofonica:
«Per me è sempre stato molto difficile decidere quando un quadro era terminato, lo riconosco. Ma ora va meglio. Smetto di lavorarci, semplicemente».
Già.
Prima o poi, arriva il momento della ferocia placata.
Quando ormai, alla ricerca della verità interiore, la belva ha dilaniato il corpo della vittima.
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